E-Book, Italienisch, 240 Seiten
Reihe: Narrativa
Deville Viva
1. Auflage 2024
ISBN: 979-12-5480-126-0
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 240 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 979-12-5480-126-0
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Nel 1937 sbarcano a Tampico Trockij e sua moglie Natalia: il pittore muralista Diego Rivera ha convinto il presidente Lázaro Cárdenas a fornire un visto al proscritto in fuga dai sicari di Stalin; sarà Frida Kahlo a ospitarli, nella sua casa blu. Un anno prima, nel 1936, era arrivato in Messico anche lo scrittore britannico Malcolm Lowry, che qui passerà dieci lunghissimi e tormentatissimi anni a scrivere il suo vertiginoso Sotto il vulcano. Senza che i due si incontrino mai, la vita di Trockij, 'colui che agisce nella Storia', e quella di Lowry, 'colui che non agisce', si intrecciano tra loro e con quelle di altre figure centrali nelle rivoluzioni politiche, artistiche e culturali del Ventesimo secolo. Oltre a Frida Kahlo e Diego Rivera, in questo viaggio incrociamo la fotografa Tina Modotti, l'enigmatico B. Traven e le sue innumerevoli identità, il pugile poeta Arthur Cravan, André Breton e Antonin Artaud alla ricerca dei Tarahumara. Ma anche Sandino, Majakovskij, Siqueiros, Orozco e un giovane Ernesto Guevara. Viva illumina vite divise tra passione e rivoluzione, arte e politica, lotta per la libertà e ferocia della Storia. In una spirale di racconti e immaginazione, tra sogni e ideali, incontri memorabili e strane coincidenze, Patrick Deville dipinge un eccezionale affresco dello straordinario fermento rivoluzionario che infiamma il Messico negli anni Trenta del Novecento.
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da Tampico a Città del Messico
In fondo allo scalandrone della , la petroliera norvegese in zavorra, al proscritto Trockij viene restituito il piccolo revolver automatico requisitogli al momento dell’imbarco, tre settimane prima. Colui che ha comandato uno degli eserciti più notevoli al mondo infila in una tasca tutto ciò che resta della sua potenza di fuoco. È un uomo di età matura, cinquantasette anni, i capelli bianchi scompigliati, accanto a lui sua moglie, coi capelli grigi, Natalia Ivanovna Sedova. Sono pallidi, abbagliati dal sole dopo la penombra della cabina. In una fotografia si vede Trockij indossare un berretto da golf bianco, molto poco marziale. Sulla banchina, li accolgono un generale in alta uniforme e alcuni soldati, una giovane donna coi capelli neri raccolti in una crocchia. Vengono accompagnati verso la stazione di Tampico.
Ora sono in quattro nel vagone rivestito di legno. Davanti a loro il generale Beltrán con un’uniforme scura e il volto severo, e la giovane donna vestita con una tunica amerindia multicolore in cui dominano i gialli. I suoi sopraccigli nerissimi si congiungono alla radice del naso come le ali di un merlo. L’ è il treno personale del presidente Lázaro Cárdenas. Il pittore muralista Diego Rivera lo ha convinto ad accordare un visto al proscritto e salvargli la vita. È il 1937, tre anni dopo l’assassinio di Sandino a Managua per mano degli sgherri del generale Somoza. La notizia era giunta con ritardo in Francia, a Barbizon, dove Trockij si nascondeva all’epoca. In Nicaragua si è instaurata la dittatura somozista, in Italia il fascismo, in Germania il nazismo e in Russia lo stalinismo. In Spagna c’è la guerra, e presto arriveranno la disfatta dei repubblicani e la vittoria del franchismo. Per dieci anni, Trockij è uno sconfitto che vaga per il mondo. La locomotiva lancia un getto di vapore. Eccolo di nuovo su un treno. Per la prima volta su un treno messicano.
Conosce le immagini degli uomini di Pancho Villa seduti sui tetti dei vagoni, con le cartucciere a tracolla e i sombreri. Conosce di John Reed, il giovane autore che in seguito aveva scritto e lodato la rivoluzione russa. Rivede i treni a bordo dei quali ha attraversato l’Europa nel corso dei suoi esili. Il suo treno blindato con la stella rossa che sfrecciava sulla neve, assemblato all’epoca in cui era commissario del popolo per la guerra, quando comandava cinque milioni di uomini, prima di essere nient’altro che un proscritto in fuga, seduto di fronte alla giovane donna coi capelli neri tenuti insieme da pettini di madreperla e nastrini, bell’uccello multicolore che forse già gli ricorda Larisa Rejsner e la presa di Kazan, la prima vittoria dell’Armata Rossa, quasi vent’anni fa.
Frida Kahlo fissa gli occhi azzurrissimi del proscritto dietro gli occhiali tondi e gli sorride. Ha meno di trent’anni. Suo marito Diego Rivera è celebre nel mondo intero, ma quell’altro lo è ancora di più. Ha spezzato in due la Storia. Avanzano lungo il Río Pánuco e poi lungo le lagune all’uscita della città. Non procedono molto in fretta. L’ è meno potente del treno blindato a bordo del quale ha vissuto per più di due anni, riunendo i fronti da Mosca fino alla Crimea, respingendo l’Armata Bianca di Wrangel. Il paesaggio ignoto si inaridisce a mano a mano che la ferrovia lascia la costa e raggiunge gli altopiani, che si allontana dalle sponde tropicali di Tampico, dal mare agitato e verde dei Caraibi. Di villaggio in villaggio, strade polverose, case di legno, drogherie, , un fiume, barche riempite di mercanzie, mandrie di bovini. Rinchiusi per qualche ora fra i rivestimenti di legno verniciato del treno, ognuno di loro è perso nei suoi pensieri. Trockij e Natalia Ivanovna sono appena scampati alla morte in Norvegia. Hanno temuto di venire gettati in mare dalla nave e che la loro morte fosse camuffata da suicidio. Non sanno nulla di ciò che li attende.
Se potesse ancora beneficiare dell’anonimato, Trockij scenderebbe in una di quelle piccole stazioni che piacerebbero a Tolstoj, tra gli indios e i peones. Conosce la vita nelle fattorie, l’odore del fieno, il cigolio dei mozzi delle carrette e l’orizzonte rosso sulla pianura. Leggere dei libri, coltivare il proprio giardino. Più volte gli è stato necessario uno sforzo per strapparsi all’isolamento e ai libri, tornare verso la città e i furori della Storia. Dopo la Rivoluzione, sì, dopo il trionfo mondiale della Rivoluzione, scendere dal treno, leggere e scrivere, cacciare e pescare come ha fatto ogni volta che è stato sconfitto. Le battute di caccia nelle paludi intorno ad Almaty durante il suo esilio in Kazakistan dopo la vittoria di Stalin, poi le battute di pesca ogni mattina in barca intorno all’isola turca di Prinkipo quando Stalin lo aveva espulso verso Istanbul.
Il treno si arrampica in direzione dei vulcani, degli altopiani, delle sterpaglie secche, una terra povera davanti alla quale suo padre, il vecchio Bronštein morto di tifo quindici anni prima, il contadino delle piane di grano dell’Ucraina, alzerebbe le spalle e sputerebbe nella polvere. Colui che è cresciuto nelle case di terra amalgamata alla paglia è un giovane uomo troppo brillante per restare nella fattoria. L’alunno eccellente e primo in tutto lascia il lavoro nei campi, riesce a introdursi nell’esiguo assegnato agli studenti ebrei dallo zar. Lev Davidovic Bronštein è un giovane uomo assennato che diffida delle passioni. Più tardi sarà scrittore; per ora: la scienza, l’attivismo politico nei cantieri navali di Odessa. Redige libelli, arringa operai che hanno l’età di suo padre, scopre la potenza del verbo e quel dono naturale che è il carisma da lui posseduto, il potere delle sue parole sullo spirito degli operai del cantiere e su quello di Aleksandra Lvovna.
Scopre anche la prigione e nella sua cella consolida il proprio pensiero a spese dello zar e dei suoi carcerieri, studia le lingue. A vent’anni: la deportazione in Siberia, il treno, la foresta, la capanna, la lettura, il matrimonio con la bella Aleksandra Lvovna che lo ha seguito nella sua relegazione, le due figliolette, Nina e Zina. Avrà il coraggio di abbandonarle, di fuggire da solo, perché la Rivoluzione, con un furore da dio biblico, gli ordina di abbandonare moglie e figli in uno slancio eroico e brutale come se ne vedono nelle vite dei santi e dei profeti. È l’inizio delle false identità.
Lev Davidovic Bronštein, che i suoi amici chiameranno per tutta la vita LD, poi Il Vecchio, è detentore di un passaporto falso con il nome Trockij ed è con questo che entrerà nella Storia. Si nasconde in una carretta, raggiunge Irkutsk, sale sulla Transiberiana. Nel corso della sua fuga, raggiunge l’Austria, poi Zurigo, Parigi, incontra Natalia Ivanovna che è andata a studiare Botanica a Ginevra. È seduta accanto a lui decine di anni dopo in quel treno del presidente Cárdenas e dorme appoggiata alla sua spalla. Anche lui sonnecchia, incrocia lo sguardo del generale Beltrán, e quello della misteriosa donna messicana dai sopraccigli neri, col merlo sulla fronte, le labbra rosse.
Il treno è sempre meno rapido via via che sale sui pendii, spinge i suoi vagoni verso Città del Messico e i suoi duemila metri via via che il cielo di gennaio in cui volteggiano gli dalle ampie ali nere si fa più limpido e dorato. Si sente un po’ sperso dopo quelle tre settimane di mare. Il 1905 è ancora presente, con il cristo rosso che spiega le ali sopra San Pietroburgo, chiama a sé gli apostoli e i martiri. I poveri muoiono nella neve di gennaio davanti al Palazzo d’Inverno. Di tutti quelli sulla cui testa è stata messa una taglia, Trockij è il solo a tornare in Russia già dai primi giorni della sommossa, sotto il nome di Vikentiev, nobile possidente. Ne ha l’aspetto e il contegno. C’è lo stato d’assedio. Viene posto a capo di un soviet e il suo modello è la Rivoluzione Francese. Alla tribuna cita Danton: “L’organizzazione, ancora l’organizzazione, sempre l’organizzazione!” In breve è un bordello, uno sbando, il fallimento, la Fortezza di Pietro e Paolo, i dieci mesi di preventiva, il processo e poi di nuovo la Siberia, il treno. Sulla banchina la tenuta da galeotto. La polizia dello zar gli ha lasciato ai piedi gli stivali che aveva in Europa, errore da dilettanti: dentro ai tacchi, come in un romanzo di Dumas, ci sono monete d’oro e documenti falsi.
I deportati apprendono che la loro destinazione è Obdorsk, al di là del circolo polare. Quando fanno tappa a Berëzovo, Trockij simula la sciatica che si era allenato a fingere. Lasciato solo in attesa del convoglio successivo, corrompe la guardia e l’infermiere, compra una slitta, un pellicciotto d’agnello e delle renne, ingaggia una guida, fugge nella taiga. È con frasi che si potrebbero leggere in Jack London che racconterà la sua evasione in : “La nostra slitta scivolava con ritmo eguale, senza far rumore, come una barca sullo specchio di uno stagno. Nel crepuscolo intenebrato, la foresta sembrava ancora più gigantesca. Non riuscivo a scorgere minimamente la strada, quasi non percepivo il nostro movimento. Alberi mirabolanti correvano...