E-Book, Italienisch, 423 Seiten
Reihe: Narrativa
Deen Per antiche strade
1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-7091-994-3
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
un viaggio nella storia d'Europa
E-Book, Italienisch, 423 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 978-88-7091-994-3
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Scrittore e giornalista olandese, è autore di reportage, documentari e programmi radiofonici. Ha pubblicato saggi narrativi, raccolte di racconti e un romanzo che gli sono valsi importanti riconoscimenti di pubblico e critica. 'Per antiche strade', che combina ricerca storica, diario di viaggio e racconto, è il suo primo libro pubblicato in Italia.
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L’ideale
GINEVRA, UFFICIO CENTRALE (2015)
E8 London – Colchester – Harwich (ferry to Hook of Holland and to Antwerp, boat to Esbjerg) Hook of Holland – The Hague – Gouda – Utrecht – Amersfoort – Oldenzaal – Osnasbrück – Oeynhausen – Hanover – Magdeburg – Berlin – Poznan – Krosniewice – Lowicz – Warsaw – (URSS).
Dalla , ONU, Ginevra 1950
Che esista una rete interconnessa di strade europee regolata a livello centrale, strade che attraversano per migliaia di chilometri l’intero continente europeo fino al cuore dell’Asia, collegando tra loro i territori di clan confinanti, partner commerciali, amici temporanei, nemici giurati e famiglie linguistiche, non appartiene a una coscienza europea condivisa. Solo pochi eccentrici sanno a chi si debba l’esistenza di questa rete. Chi è colto da un desiderio di mezza età di percorrere in solitudine una considerevole distanza preferisce di gran lunga guardare all’America e fare la Route 66 o la Pan-American Highway da un capo all’altro. Un eventuale proposito di domare la E30 a scopo purificatorio o per migliorarsi non è destinato a incontrare grande consenso. Le strade europee non sono protagoniste di una narrazione nazionale come quelle degli Stati Uniti. Non esiste un europeo, un’idea europea della costruzione della nazione lungo le strade che hanno dischiuso il continente, o un’idea della conquista del paesaggio lungo la spina dorsale di vie di transito.
Le ragioni non mancano. Le strade d’Europa esistono da migliaia di anni, sono state battute da migrazioni, commerci e conquiste. Non appartengono a nessuno in particolare. Conducono attraverso un continente frammentato, tradizionalmente abitato da clan che spesso si odiano a morte. Le vie di transito attraversano il podere dei vicini ed è tutto da vedere che quelli siano ben disposti nei tuoi confronti. I visionari che più o meno a ragione hanno voluto legare il loro nome a strade che sconfinavano in territori altrui (i romani, Napoleone, Hitler) l’hanno fatto per sottomettere quei territori, dislocare e rifornire le loro truppe. Dove arrivavano le strade, seguivano gli eserciti. Raramente le vie di transito portavano qualcosa di buono.
Gli uomini non hanno fatto in tempo a insediarsi in Europa che hanno cominciato a massacrarsi a vicenda. I siti archeologici riservano a studiosi pacifisti l’immancabile, amara scoperta di reperti che testimoniano come l’essere umano e i suoi parenti più prossimi abbiano sempre fatto fatica a tenere le mani a posto, come teschi sfondati e ossa rosicchiate. «La guerra è sempre esistita», titolano allora i giornali, o «Anche l’uomo cacciatore-raccoglitore andava in guerra». Queste scoperte fanno piazza pulita dell’idea che la guerra sia stata inventata da uomini che si erano insediati stabilmente in terre di cui si erano impadroniti, e che avevano quindi un posto da perdere. «È interessante notare l’entità della violenza», può capitare che osservi un giornalista citando l’archeologo di turno e alludendo a ossa intenzionalmente rotte o frantumate rinvenute in un sito.
Dal momento in cui gli uomini vi si sono stabiliti, l’Europa è diventata un continente litigioso, in cui neanche per i cacciatori nomadi era facile evitarsi a lungo. L’Europa è una penisola percorsa da sentieri a fondo cieco, che finiscono in mari, fiumi, o a ridosso di catene montuose. Clan isolati o tagliati fuori dai cambiamenti climatici si aggiravano come lenti cicloni nei loro territori di caccia. Sui bassipiani settentrionali il mondo si apriva a est a perdita d’occhio, non fosse che anche lì i fiumi che scorrevano verso nord ostacolavano il passaggio.
Quando gli europei incontravano i loro simili erano botte ben assestate. Fosse comuni piene di uomini dell’età della pietra spediti con ferocia al creatore, tribù germaniche sterminate da Cesare, o figli di contadini strappati da Napoleone alla loro vita di villaggio e sospinti su strade innevate – tutto questo non sorprende nessuno. È perciò quasi commovente pensare che si possano ridurre i conflitti in Europa, o addirittura bandirli, favorendo l’accesso ai diversi territori nazionali grazie a strade facilmente percorribili.
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Eppure fu proprio questo lo scenario che nel 1947, ovvero poco dopo la più grande carneficina che avesse mai avuto luogo in territorio europeo, indusse i rappresentanti dei diversi clan del vecchio continente a riunirsi per riflettere su una rete di strade che avrebbe dovuto collegare tra loro i territori di ex nemici. I progetti furono messi a punto nel Palazzo delle Nazioni di Ginevra, la sede europea delle neonate Nazioni Unite. A un tiro di lancia dalla città dove nel 58 a.C. Cesare si imbatté in un ponte sul Reno che gli allora abitanti del luogo, gli allobrogi, difendevano con le unghie e con i denti da qualunque tribù vicina ne volesse fare uso.
Tra il 1947 e il 1950, sempre a Ginevra, su diversi tavoli della Commissione economica per l’Europa, sarebbero state srotolate grandi carte geografiche. I delegati – diplomatici, ingegneri, funzionari governativi – che chini sul tavolo studiavano le coste, i fiumi, le catene montuose e i confini a loro familiari partivano dall’idea che ci fosse un solo modo per passare da una catastrofe a un futuro di prosperità: che i Paesi fossero collegati tra loro. Cercarono quindi di individuare, nel groviglio di strade che percorrevano l’Europa, un modello più ampio, un network di collegamenti tra i quattro punti cardinali, come una rete che, in un unico lancio, potesse catturare l’intero continente.
Da qualche parte bisogna cominciare, ma in queste cose non esiste l’arbitrio. Già il primo dei percorsi proposti comprendeva un tratto di mare (Southampton – Le Havre) ma, pur volendo essere imparziali, era difficile immaginare che la prima strada europea del futuro, la E1, non passasse per le capitali alleate di Londra e Parigi. Considerando la storia del continente, poi, la commissione non si fermò a questo ma ne prolungò il percorso fino al punto di partenza e di arrivo storici di tutte le strade europee: Roma. E alla luce dell’ideale onnicomprensivo che univa gli artefici di quel progetto, la strada proseguiva addirittura fino al confine naturale del continente: il Mar Mediterraneo. La scelta del punto d’arrivo cadde su Palermo, forse perché i siciliani avevano affiancato gli Alleati nella loro avanzata in Italia. L’opzione più ovvia di Brindisi, da duemila anni tappa finale della via Appia, divenne il punto d’arrivo della E2, che iniziava anch’essa a Londra ma passava da Reims e Milano.
I primi tracciati si profilavano sulla carta secondo un disegno logico e visionario. Seguivano quasi tutti le antiche vie romane. Sul suolo europeo ogni passo ne ricalca uno precedente. Sotto ogni strada c’è un sentiero, una traccia percorsa nel tempo da migranti, mercanti e conquistatori.
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Naturalmente l’idea della ricostruzione non è piovuta dal cielo. Il libro di Frank Schipper, , spiega bene come già al culmine della Seconda guerra mondiale funzionari lungimiranti avessero cominciato cautamente a fare qualche conto. La guerra causava così tante distruzioni che allo scoppio della pace non poteva che rimanere solo un cumulo di macerie. Così, sul fronte interno, i governi alleati iniziarono a valutare di che cosa avrebbero avuto bisogno per rimettere in sesto ciò che in quel momento i loro eserciti stavano facendo a pezzi.
Dopo la capitolazione della Germania, a farsi carico di tale lavoro fu la European Central Inland Transport Organization (ECITO), e quando si costituirono le Nazioni Unite e poco dopo diedero vita alla Commissione regionale per l’Europa, questo ideale trovò la sua sede solenne a Ginevra.
Che gli ex nemici procedessero fianco a fianco, non solo per ricostruire quello che era andato distrutto ma anche per far spazio a vie di comunicazione che varcassero i confini nazionali, non fu un fatto automatico. Eppure, le prime strade proposte nell’Europa post-bellica furono quelle che univano tra loro ex nemici giurati. Partendo da Londra e Parigi, la E1 e la E2 attraversavano il territorio italiano. La E3 (Lisbona – Parigi – Stoccolma) passava per il cuore della Germania rasa al suolo. Chi l’avesse percorsa nel 1947 avrebbe trovato soprattutto il tratto nel bacino della Ruhr, tra Hannover e Amburgo, poco entusiasmante, anche se nei pressi di Oberhausen e di Amburgo c’erano già tronconi di strada abbastanza buoni perché fatti costruire in precedenza da Hitler.
Nel 1950 il progetto era pronto e fu riportato nella . Si trattava di una proposta di ventisei autostrade transfrontaliere e di un’altra serie di strade di collegamento all’interno del continente europeo. Dall’estremo nord della Scandinavia fino al Mar Mediterraneo, e da Brest a Leopoli. Il documento stabiliva con tono pragmatico: «è essenziale, per stabilire relazioni più strette tra i Paesi europei, definire un progetto coordinato per la costruzione o ricostruzione di strade adatte al traffico internazionale.»
Non tutti i Paesi firmarono subito, non tutti presero subito parte alla ricostruzione. Ma era questione di tempo. Era il 16 settembre 1950. L’Europa cominciava a rinascere.
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Nel 1975 erano 26 i Paesi ad aver sottoscritto la , e rispetto al 1950 la rete di strade europee si era estesa, almeno sulla carta, fino all’Irlanda e all’intero territorio turco arrivando...




