David-Neél | La sublime arte | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 272 Seiten

Reihe: Amazzoni

David-Neél La sublime arte

Diario di un'attrice
1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-6243-454-6
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Diario di un'attrice

E-Book, Italienisch, 272 Seiten

Reihe: Amazzoni

ISBN: 978-88-6243-454-6
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Ci sono sofferenze che trovano voce solo sulla carta, e questo lo sa bene Cécile Raynaud che, costretta da tempo in una vita che non le appartiene, inizia a scrivere un diario in cui alle memorie del suo avventuroso passato di attrice di teatro alterna disperazione e angoscia del presente, quando è ormai lontana dalle scene. Poi la fortuna sembra girare ancora, decide di sedersi al tavolo da gioco e tentare il tutto per tutto, per riscattare lo spirito e vincere l'unico premio davvero importante: essere ammessi nel tempio dell'arte... Rimasto inedito fino al 2018, il primo romanzo di Alexandra David-Néel, nota per le straordinarie imprese di esploratrice, è una preziosa testimonianza autobiografica della sua esperienza giovanile di cantante. Attraverso la storia di Cécile, l'autrice - con sguardo spregiudicato e assolutamente moderno - coglie l'occasione per raccontare un'umanità torbida e viziosa, e ci consegna il ritratto di un'epoca con le sue contraddizioni e ipocrisie.

Louise Eugenie Alexandrine David (1868-1969) nasce a Saint-Mandé, vicino Parigi. Orientalista, conferenziera e instancabile viaggiatrice, nel 1904 sposa Philippe Néel. Nel 1911 l'uscita di Buddismo del Buddha coincide con la sua partenza per l'Asia. Philippe non rivedrà la moglie che nel 1926. Lei intanto si recherà in Nepal, Cina, Corea, Giappone, fino a entrare nel 1925, prima donna europea, a Lhasa, la città proibita agli stranieri. L'impresa è riportata dalla stampa di tutto il mondo e Alexandra, una volta tornata in Europa, pubblica i suoi libri più famosi: Viaggio di una parigina a Lhasa, Il Lama dalle cinque saggezze, Mistici e maghi del Tibet, Nel paese dei briganti gentiluomini (tutti pubblicati da Voland). Morirà ultracentenaria e le sue ceneri verranno disperse nel Gange.
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Non tutte le colonie si somigliano. La frase che una vecchia direttrice teatrale ripeteva compiaciuta parlando di Saigon, “È il paradiso delle donne”, si realizza in qualche Eden d’oltremare.

In Indocina, otto giorni dopo il nostro arrivo, la troupe era sistemata: le donne... e anche gli uomini, talvolta!

Le giovani coriste ricevono diamanti, cavalli... Se le litigano! Lo champagne scorre a fiumi nelle quinte... La più infima sgualdrina è coperta di fiori a ogni distico...

Ai miei tempi, c’era un generale, un bel tipo che aveva un debole per la nostra direttrice, ex attrice, di mezza età, ma ben tenuta e soprattutto gradevole. Al culmine della passione, il vecchio gaudente aveva messo tutto il personale militare a disposizione della sua musa che non si faceva scrupolo a usarlo per compensare l’insufficienza numerica della troupe: soldati impiegati come coristi, attori, pittori di scenografia, musicisti, costumisti!... e compagnia bella. Non c’erano che uniformi in quel teatro-caserma! Un sottufficiale, espulso dalla sala durante una prova, aveva fatto la battuta che se lei avesse chiesto “al suo generale la bandiera e i cannoni”, lui glieli avrebbe concessi!

Era la “banda del generale” a organizzare le cene in cui quelle signorine intingevano spille per capelli, pettini, piedi con le calze nel punch e, vestite come Eva, servivano agli invitati, quell’infuso prelibato!

Tra le assidue ospiti di queste feste private, c’era una commediante da strapazzo che si chiamava Dartig, rotondetta, divertente e bruttina, che non riusciva ad accalappiare nessun cicisbeo.

Un giorno un funzionario si presentò e fu ricevuto con sollecitudine:

– Come faccio a trattenerlo, quello lì...? – ci chiedeva ripetutamente. – Giuro, non so più che pesci prendere! Ma cosa gli fate agli uomini, voialtre?

Ridevamo a crepapelle per quanto era buffa, con gli occhietti vivaci, l’aspetto da scimmietta...

Non so come, una di noi disse, in modo del tutto casuale, che si era fatta fare della biancheria di seta nera; Dartig non batté ciglio, ma come folgorata si eclissò, rapida, appena terminata la prova...

Una sottoveste nera, certo, accidenti! Doveva essere l’ultimo grido e poi eccitante...! L’avrebbe indossata per ricevere il funzionario con cui aveva preso il primo appuntamento per l’indomani!

Malauguratamente, Dartig, terza cantante di operetta, aveva il borsellino leggero. Andare da una sarta francese, neanche a pensarci. Ma l’avrebbe avuta, la sua sottoveste nera... Gli indigeni vendono a poco prezzo seta fabbricata da loro... si sarebbe cucita da sé la provocante biancheria, nottetempo...

Prima che spuntasse il giorno, effettivamente, la sottoveste nera, piegata con cura, faceva bella mostra di sé sul letto.

La giornata passò come al solito tra lezioni e prove. La sera, dopo lo spettacolo, indossò alla svelta il talismano che l’avrebbe condotta alla vittoria, si mise il vestito più bello e andò a raggiungere il suo spasimante che l’aspettava all’uscita...

Il funzionario, uomo posato e serio, fece per bene le cose: la portò a cena nel migliore ristorante; il pasto fu seguito da una passeggiata in carrozza e poi, infine, si diressero alla dimora della bella signorina...

Come tutte le persone un po’ in sovrappeso, Dartig sudava in abbondanza. Nonostante fosse notte, la temperatura esterna era di almeno trentacinque gradi. Nella sala del cabaret surriscaldato dalle lampade, lo champagne, i liquori di cui aveva abusato ebbero la meglio e arrivò nella stanza grondante...

Non aveva uno spogliatoio; il funzionario peraltro si dimostrò impaziente e galante, offrendole il proprio aiuto che lei rifiutò per la forma, prefigurandosi l’effetto che avrebbe fatto; ma vuoi perché non gli piaceva la biancheria nera, vuoi perché preferiva la fodera naturale, con mano esperta fece scivolare bruscamente la sottoveste dalle spalle...

– Oh!

– Ah!

La tintura indigena si era sciolta con il sudore e aveva fatto di Dartig una negra, ma una negra a chiazze, qui e là dagli isolotti bianchi emergevano fiumi d’inchiostro dalle sinuosità capricciose...

Poverella, doveva essere mostruosa! Così, passato il primo stupore, il serio funzionario non riuscì a trattenere la propria ilarità...

In un primo momento costernata, Dartig si sentì invadere dalla collera per quella risata di scherno... Le scapparono delle parolacce! Al che il funzionario prese il cappello e se la filò, continuando a ridere, mentre infuriata per la delusione, nuda dal balcone, lei lo apostrofava ancora da lontano...

Senza essere morfinomane, la nostra bella direttrice usava con una certa disinvoltura le iniezioni di morfina e le consigliava a chiunque, anche per un lieve malessere.

La sera di una prova generale, la prima cantante di operetta le inviò all’ultimo momento un laconico biglietto per avvertirla che era malata e non sarebbe venuta.

Costernazione della direttrice!

– Malata? Impossibile... Domani è la prima dell’Amour mouillé, è già tutto prenotato... Bisogna farle delle punture di morfina!

Senza indugio, sale su un risciò e, incitando il coolie con continui “maholen5, arriva dal dottor Ibert nel momento in cui si apprestava ad andare a letto:

– Dottore, presto, prenda la borsa e venga a fare un’iniezione di morfina ad Alzy perché domani possa cantare...

– Mi scusi, Madame!... Cosa si sente la sua cantante? Non si usa la morfina così, a casaccio!

– È vitale, dottore. Ecco, io sono guarita...

Il medico, che l’aveva sentita raccontare venti volte la stessa storia, non la lasciò terminare e si vestì, seccato di essere stato disturbato...

Per scongiurare le suppliche e le chiacchiere della donna, il dottore si munì di una siringa di Pravaz, riservandosi di usarla solo in caso di necessità, e accompagnò la direttrice.

Eccoli nella villa abitata dalla cantante: una bella dimora nascosta in un verde lussureggiante.

Una lucina brillava alla finestra della camera da letto. I boy si erano ritirati nella loro casetta vicino alla scuderia.

– Mi segua, dottore. Facciamo piano; forse non sta dormendo. Conosco la strada.

Precedendo il medico, la direttrice attraversa il salone, spinge un portello ed entra nella stanza dove trova un ufficiale di marina assai svestito...

– Credo che l’iniezione di morfina sia di troppo...

E il dottor Ibert, inveendo contro la sciocca scampagnata in cui lo avevano trascinato, senza aspettare un attimo in più, se ne andò; intanto la direttrice, perdendo qualsivoglia pudore, rimase lì a insultare la sua dipendente senza preoccuparsi dell’ufficiale di marina che, dopo la sorpresa iniziale, rideva a crepapelle!

In queste dannate colonie, le avventure galanti assumono andamenti bizzarri, ognuno le accoglie con tale semplicità, bonarietà che davvero non si può avere la fronte corrugata e l’anima da censore in mezzo a una società così gioviale nel suo libertinaggio...

Ci sarebbero volumi da scrivere sulle avventure vissute dalla gentry in quelle capitali lontane: Saigon, Hanoi, Haiphong; racconti da far impallidire Boccaccio, Balzac e tutti i Decameroni del mondo.

Una notte, gli abitanti della strada principale, risvegliati di soprassalto da grida e minacce, si precipitarono in camicia ai balconi e scorsero, in una fuga disordinata, uno spilungone completamente nudo con una spada in mano, inseguito da un tipo grassottello, in abito da sera che impugnava un revolver.

Monsieur Lardinois, noto industriale, tornato a casa prima del previsto, aveva trovato il capitano Dieulay insieme alla sua signora e allo sventurato amante non era rimasto altro che scappare dalla finestra...

Un pomeriggio, la moglie di un dirigente andò a trovare l’amica Madame Dallifé. Madame Dallifé era uscita per poco:

– Signora uscita... tornare presto... tu entrare in salone, Madame... – le disse il boy che aveva ricevuto gli ordini dalla padrona.

Qualche minuto dopo si presentava il visconte di Bôcol, funzionario di prim’ordine anch’egli:

– Signora uscita... tornare presto... tu entrare in salone... Monsieur.

E il visconte andò a raggiungere la moglie del collega.

La padrona di casa ci mise parecchio a rientrare: appena arrivata, dopo essere stata avvertita che la aspettavano, si precipitò nella stanza per darsi una sistemata...

Oh stupore!... sul letto basso, ricoperto di un pallido raso ricamato con bellissimi fiori, in conversazione muta, i suoi visitatori ingannavano i fastidiosi minuti di attesa...

Nonostante questa allegra libertà, molti europei coloniali rispolverano Sodoma e la Grecia nel paese dei bambù.

– Ma come! – diceva un magistrato a un boy che compariva in giudizio davanti a lui incolpato di furto. – Guadagni dodici piastre al mese e invece di essere contento dello stipendio, esagerato per il tuo servizio, derubi il tuo padrone!

– Io non solo fare ‘boy’, io fare anche ‘signora’ – rispose calmo l’indigeno!

Ci sarà pur qualcuno che, in tutta sincerità, si tormenti per questi costumi neogreci: monsignore il vescovo, forse? Neanche per sogno! Madame Japon, la tenutaria della casa delle giapponesi...

Eh! Sì!... nonostante l’ardore degli appetiti esasperati dal clima, la vita di mollezze, le siesta pigre, la mancanza di stanchezza fisica, gli affari talvolta languono da Madame...



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