Dagerman | Il viaggiatore | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 113 Seiten

Reihe: Narrativa

Dagerman Il viaggiatore


1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-7091-943-1
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 113 Seiten

Reihe: Narrativa

ISBN: 978-88-7091-943-1
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Anarchico viscerale incapace di accontentarsi di verità ricevute, vulnerabile e malato di «simpatia», Dagerman appartiene alla famiglia dei Kafka e dei Camus, dei ribelli alla condizione umana. «Sua colpa fu l'innocenza», lascia scritto come epitaffio nel «Viaggiatore», la colpa di chi ha scelto di non venire a patti con la vita, non riuscendo a perdonare a se stesso neppure di aver fatto della sua disperazione un'opera d'arte. «Le grandi tragedie», dice un suo personaggio, «sono già tutte accadute nel passato», quelle che restano oggi sono soltanto «tragedie minori». E «tragedie minori», appunto, sono quelle che esplora in questi racconti, momenti di epifania in cui i protagonisti, quasi tutti adolescenti e bambini, sono costretti a riconoscere che la «grande tragedia» dell'ingiustizia del mondo si incarna nella loro piccola quotidianità, e li ha marchiati per sempre, relegandoli nel lato ombra della vita. Un giorno, come spiragli di fuga, compaiono nella loro esistenza i simboli di un destino diverso: un'auto da Stoccolma, una scacchiera da viaggio, un berretto da liceale, un lord che cerca l'acqua verde. Ma l'illusione del riscatto rende ancora più amara e ineluttabile la sconfitta: per Dagerman, come per i suoi personaggi, è «troppo tardi» per la felicità. La libertà, l'amicizia, il calore appartengono a un mondo in cui saranno sempre degli estranei: come i fuochi della notte di San Giovanni brillano lontano, dall'altra parte della baia, dove loro semplicemente «non esistono».

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Ho remato per un lord
(1947)


Un’estate ho remato per un lord. Un’estate molto calda, forse l’estate più calda che abbiamo avuto. La barca era dipinta di verde e faceva acqua dappertutto. Era una barca per cinque persone. Affondò l’autunno di quello stesso anno, speronata nella nebbia da un battello che trasportava legname. Il rematore, che era sordo, fu tratto in salvo sull’altra imbarcazione ma un bambino morì annegato. Se ne parlava ancora l’estate scorsa. A riva, nel punto in cui fu ritrovato il corpo del bambino, i genitori hanno fatto mettere una grossa pietra rossa. Un giorno il battello è ripassato a grande velocità attraverso lo stretto e tutti quelli che l’hanno visto dalla spiaggia e dal mare hanno pensato la stessa cosa.

Ma di tutto ciò che è accaduto in seguito alla barca, di ciò che è accaduto a noi che viviamo sulla riva dello stretto, di ciò che è accaduto nelle altre estati meno calde, il lord non ne sa niente. È scomparso com’era arrivato, senza dir parola e senza farsi notare, come se fosse passata di lì una nuvola e l’avesse portato via con sé – e dopo la sua partenza tirai in secco la barca tra i ciottoli della spiaggia, chiusi a chiave i remi nella rimessa, mi sedetti sul molo e mi misi a guardare lontano verso il faro che gettava intorno le sue occhiate insolenti nel crepuscolo, e pensai: No, mai più. Un lord mai più.

E ricordo che quando me ne andai ero congelato. Ero così congelato che i Knutson se ne accorsero e mi invitarono a entrare. Il vecchio in persona uscì sul pianerottolo e mi lanciò un fischio come a un cane:

«Vieni ragazzo. Finché c’è grappa non c’è motivo di patire il freddo.»

E infatti non c’era motivo. Il vecchio mise un altro ceppo nel camino e mentre Ulrika, la sorella, preparava bottiglie e bicchieri, ci abbandonammo ciascuno sulla sua sedia, uno di fronte all’altro, molto vicini. Ma per vedermi ancora meglio, il vecchio si mise gli occhiali. Io presi un bicchiere e lo vuotai dritto nella mia anima. Ero solo e sapevo ciò che mi aspettava. Qui non si dava mai niente senza esigere in cambio il doppio. Si offriva alcol e tepore ma ogni goccia andava pagata. Dietro di me Ulrika accostò il suo sgabello e vi si lasciò cadere con un gran scricchiolio di legno.

«Be’, come sta il lord oggi?» domandò il vecchio. Si chinò in avanti sopra le mie ginocchia ed era così intento che rovesciò parte del suo bicchiere sui miei pantaloni.

«Non so», dissi chiudendomi a riccio. «È partito.»

«Ieri però c’era», insistette il vecchio. «E forse c’era anche stamattina.»

Ulrika spinse ancora più vicino il suo sgabello. Respirava pesantemente, come se avesse corso.

«Di sicuro l’ho visto a mezzogiorno», disse. «E di sicuro ho visto anche te insieme a lui.»

Sì, avevano visto bene. A mezzogiorno il lord c’era ancora. Era una giornata piovosa e una nebbia sottile si stendeva sull’acqua. A brevi intervalli violenti piovaschi si rovesciavano martellanti attraverso la foschia e si abbattevano sull’acqua sfrigolando, come se il mare fosse una piastra rovente. Avevamo passato l’intera mattinata in barca, nella pioggia e nella nebbia. Dovevamo essere circa in mezzo allo stretto, a tratti ci arrivava un profumo di bosco bagnato e di foglie bruciate che si mescolava all’odore freddo e umido del mare e della nebbia. Non so se il lord se ne accorgesse. Era rimasto tutto il tempo seduto sul banco, immobile, a guardarsi intorno con occhi pallidi e stanchi. Non che ci fosse un accidente da vedere ma lo stesso quegli occhi non smettevano di guardare in giro. Sapevo bene che non sarebbe servito a niente parlare, così non mi restava che continuare a tener ferma la barca nella debole corrente che attraversava lo stretto.

Erano almeno due ore che ce ne stavamo lì, immobili in quella grotta di nebbia, e l’umidità brillava in grosse gocce luccicanti sul mantello nero del lord. Poiché sapevo di poterlo fare senza rischiare di essere scoperto, mi misi a fissare il suo volto come se fosse una fotografia. Linea per linea ne incidevo i tratti nella memoria, le rughe della fronte, gli zigomi, le grinze intorno al naso e quelle che si diramavano agli angoli della bocca. Era un volto allungato e stretto, trasparente come una mela Astrakan, solcato da aristocratiche rughe sottili che avevano da tempo perso ogni significato. La fine rete di grinze intorno alla bocca era come un cimitero di vecchi sorrisi – non l’avevo mai visto sorridere. E aveva sulla fronte le rughe che rivelano in genere frequenti e violenti attacchi d’ira, ma io non l’avevo mai visto dar segno della benché minima emozione. Solo una volta… ma lasciamo perdere.

Il vecchio Knutson si avvicinò ancora di più. Sollevò gli occhiali sulla fronte e i bagliori delle fiamme luccicarono come due piccoli lampioni rossi nei suoi occhi. Mi sembrò eccitato ma forse era solo il riflesso del fuoco che dava quell’impressione.

«Così, secondo te, sarebbe partito», disse.

«Sì», risposi, «è proprio partito.»

«L’hai portato a riva e lì ha tagliato la corda», chiese il vecchio con fare sospettoso.

«Sì», dissi guardando il fuoco, l’ho portato al di là dello stretto, sulla terraferma e là ha preso l’autobus. Come fanno sempre tutti da queste parti. È salito sull’autobus, si è seduto e ha aspettato che partisse.

Ma in realtà non era affatto andata così. Quello che era successo era talmente balordo e anormale che non era davvero il caso di mettersi lì a raccontarlo. O non mi avrebbero creduto e mi sarei fatto senza nessun bisogno la fama di bugiardo, oppure, se mi avessero creduto, sarei passato per un tipo strano, cui capitano storie che un altro neppure si sognerebbe. La gente è fatta così, da queste parti.

Eravamo rimasti nella nebbia. L’acqua era entrata nella barca, un po’ per la pioggia e un po’ attraverso le falle dello scafo, e per non bagnarsi i piedi il lord li aveva appoggiati sul banco centrale. Tirai i remi in barca e mi misi ad aggottare, e, dal momento che avevo smesso di oppormi alla corrente, cominciammo ad andare alla deriva verso sud, certo abbastanza lentamente ma, data la visibilità di cinque metri scarsi, per i miei gusti era già una velocità irritante. Lasciai quindi perdere la gottazza e mi rimisi ai remi; avevo appena fatto in tempo a toccare l’acqua con la loro punta che qualcosa mi colpì. Da quando avevo smesso di aggottare non c’era più stato silenzio. Per tutta la mattina eravamo rimasti immersi nel silenzio del mare, della pioggia e della foschia ma adesso, all’improvviso, un suono duro fendeva la nebbia come un coltello e di colpo, più veloce di quanto potessi immaginare, si precipitava urlando contro di noi. Un balenio rossastro si levò dalla nebbia e un’alta ombra bianca, più bianca della nebbia stessa, ci travolse. Mi rannicchiai, chiusi gli occhi, spalancai la bocca e già sentivo il dolore di essere tagliato in due da una prua affilata, quando la nostra piccola barca fu sollevata violentemente da un’ondata, per poi ricadere giù come un sasso.

E improvvisamente tutto si calmò. Aprii gli occhi e vidi il grande motoscafo bianco stagliarsi immobile nella nebbia, a qualche metro da noi. L’elegante scafo lucente fremeva ancora, come un cavallo dopo un’impetuosa galoppata. Rimasi immobile in attesa di qualche rumore ma invano. A poco a poco, dopo tutta quella eccitazione, lo scafo si acquietò, la corrente si impadronì della barca, che cominciò lentamente a derivare verso di noi. Avvertii come un tremito percorrere la nostra imbarcazione e, quando ne cercai la causa, vidi che il lord aveva afferrato il bordo con entrambe le mani, tremando così forte che temetti che la barca si capovolgesse. Il suo volto di mela Astrakan era teso e agitato mentre sporgeva la testa sull’acqua, come se questo potesse aiutarlo a scoprire cosa nascondesse il motoscafo. Un’unica volta l’avevo già visto così sconvolto e sapevo in anticipo quel che sarebbe successo.

Il motoscafo si avvicinava sempre più. La prua puntava verso di noi e io spostai con qualche colpo di remo la nostra barca di pochi metri, per evitarla. Avrei preferito pescare a fondo con i remi nell’acqua e dare qualche energica remata per liberarci di quella muta e minacciosa imbarcazione che ci seguiva come un rimorso. Ma la sensazione che quello che stava per succedere fosse inevitabile era così netta in me che, alla fine, non avevo nemmeno la forza di far indietreggiare la mia barca. Con un leggero gemito il motoscafo sfregò la sua fiancata contro la nostra. Quando alzai lo sguardo per cercare di scorgere finalmente il pilota, vidi dei capelli nell’angolo fra il parabrezza e il parabordo. Una fronte emerse lentamente dal bordo, seguita subito dopo da un volto pallido e spaventato. Era un ragazzo della mia età, forse un po’ più giovane. Rimanemmo immobili a guardarci con un’espressione fissa e diffidente, mentre il motoscafo ci passava lentamente accanto, come se entrambi dubitassimo dell’esistenza dell’altro.

Improvvisamente la nostra barca oscillò e io mi precipitai dalla parte opposta per ristabilire l’equilibrio....



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