E-Book, Italienisch, 432 Seiten
Cvetaeva Taccuini 1919-1921
1. Auflage 2018
ISBN: 978-88-6243-325-9
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 432 Seiten
ISBN: 978-88-6243-325-9
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Nella Mosca postrivoluzionaria stretta dalla morsa della fame e della guerra civile, Marina Cvetaeva affida alle pagine dei taccuini il racconto delle sue giornate. Episodi di vita quotidiana si mescolano a lettere, progetti di opere, versi, fulminee riflessioni su di sé, sull'epoca, la poesia, la natura umana, ritratti di contemporanei, narrazioni di sogni e ricordi d'infanzia... Ne scaturisce un quadro vivissimo della Russia dell'epoca e un nudo ritratto dell'interiorità cvetaeviana.
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PREFAZIONE
Immaginate. Immaginate una giovane donna, poco più che una ragazza. Immaginatela sola, con due bambine piccole, in un gelido inverno moscovita, in una casa in cui manca tutto – cibo, riscaldamento, a tratti elettricità – mentre fuori infuriano tormente di neve e la guerra civile. E immaginate che in questa casa in rovina, dove i mobili vengono bruciati e le assi della mansarda divelte per accendere il fuoco, e i libri sono venduti per una razione di pane o di farina, ogni giorno la donna, alle prime luci dell’alba, scrive, riempie quaderni su quaderni di versi, lavori teatrali, osservazioni, pensieri, annota sogni e singole parole, scene di vita quotidiana e lettere ai suoi corrispondenti. E questa donna ama, infatuandosi di persone via via diverse, e sempre assaporando alla fine l’amarezza della delusione e del distacco. E ancora e soprattutto questa donna, attraverso e nonostante le difficoltà della vita quotidiana, ricerca, in un inappagato amore per la vita e un’inesausta sete di verità.
Immaginate – ma c’è un particolare: tutto quello che state immaginando è la realtà. Ed è in questo sottile lembo di terra, dove vita e scrittura si mescolano, confluendo e rifluendo l’una nell’altra, che si situa il territorio particolare e fecondissimo dell’arte cvetaeviana – una trasfigurata verità dei giorni in cui arte e vita si compenetrano e si creano a vicenda.
Fin dai dieci anni Cvetaeva aveva tenuto un diario, ma nessuno dei taccuini d’infanzia o giovanili ci è pervenuto. Ci sono pervenuti solo dodici taccuini e tre frammenti, singoli fogli di quaderni perduti, a coprire un arco di tempo che va dal 1913, anno di nascita della figlia primogenita Ariadna (Alja), al 1939, anno del definitivo rientro a Mosca, dopo diciassette anni di emigrazione. I taccuini qui presentati per la prima volta in traduzione italiana sono i n. 7 e 8, e appartengono all’ultimo periodo di Cvetaeva a Mosca prima dell’emigrazione, diciassette mesi che vanno dal novembre 1919 al marzo 1921.1
Immaginate, dicevamo. Immaginate innanzitutto gli spazi. Andando a Mosca ritroverete, svoltando dalla rumorosissima ulica Novyj Arbat, con le sue enormi costruzioni, Borisoglebskij pereulok, il “vicolo di Boris e Gleb”, e al numero 6 la casa di Cvetaeva, unica delle sue abitazioni moscovite a essersi conservata, oggi affascinante museo e centro di studi a lei dedicato. Tutto, nella casa-museo, è stato ricostruito com’era quando Marina vi si trasferì nel 1914, due anni dopo il matrimonio con Sergej Efron. Cvetaeva amava questa casa, l’unica che in tutta la vita considerò davvero sua. Le ricordava la casa paterna di Trechprudnyj pereulok dove era cresciuta. Le piaceva il fatto che la sala da pranzo avesse un ampio lucernario sul soffitto, una vera e propria finestra sul cielo, e che il piano superiore, riservato alla stanza di Sergej, somigliasse alla cabina di una nave.
La casa tutta le sembrava una nave: ampia, si sviluppa su due piani, più un seminterrato e un sottotetto. L’appartamento degli Efron occupava il primo e il secondo piano, incluso il sottotetto. All’ingresso una porta a vetri dà sulla sala da pranzo – con il lucernario e un alto camino di marmo – dopo la quale si apre una scura stanza di passaggio, dove Cvetaeva aveva sistemato il pianoforte appartenuto alla madre; a destra la stanza di Marina, un piccolo spazio di forma irregolare, con uno scrittoio sotto la finestra, mentre di fronte si apre lo spazio più grande e più luminoso di tutto l’appartamento, una vera e propria sala (40 metri quadrati) che Marina adibì a stanza dei bambini, il luogo dove Alja e Irina avrebbero potuto trascorrere, nelle intenzioni della madre, la loro infanzia felice. Di fronte all’entrata principale, come separata dal resto dell’appartamento, c’è una piccola stanza che Marina considerava piuttosto anonima, e che usava come stanza degli ospiti; dalla finestra si vede ancora l’unico rimasto dei due pioppi che lei tanto amava. Al piano superiore c’era a destra un’ampia cucina, e a sinistra, come abbiamo detto, la “mansarda” di Sergej (Sereža), con un grande divano, una scrivania, e una finestra che dava su un terrazzino sul tetto, dove spesso Marina amava uscire di notte a fumare e a guardare le stelle…
E ora immaginate i tempi – perché i tempi immancabilmente influirono sugli spazi, trasformandoli, così come trasformarono irrimediabilmente la vita dei loro abitanti. Nel novembre 1919, quando inizia il primo di questi due taccuini, Cvetaeva è a Mosca, sola con le figlie Alja e Irina, di sei e due anni. La rivoluzione e la successiva guerra civile hanno sconvolto la vita e l’aspetto della città. I viveri scarseggiano già dal 1917, è stato introdotto il tesseramento per il pane e altri generi alimentari di prima necessità. In città manca il riscaldamento, la luce elettrica e l’acqua. Gli ampi appartamenti di proprietà della nobiltà e della borghesia sono stati ridivisi, e nelle loro varie stanze si trasferiscono via via altri “inquilini”. Chi possiede ancora oggetti di qualche valore o libri li porta ai komissionnye magaziny, negozi di vendita su commissione, nella speranza di ricavarne qualcosa. Gran parte del tempo viene impiegato a mercanteggiare in scambi e compravendite e nelle lunghe code per ricevere le razioni alimentari. In città regnano furti e un caos totale. E regna la paura, il terrore che un’auto possa di notte fermarsi sotto casa per portare via qualcuno.
Marina è sola a Mosca perché la guerra civile ha tagliato le vie di comunicazione con il sud, e non c’è modo di raggiungere la Crimea, dove si trova Sergej Efron, suo marito, che si prepara ad unirsi all’esercito volontario antibolscevico, né di farvi arrivare una lettera. Tra il 1918 e il 1921, Cvetaeva riceverà notizie del marito solo due volte, nel 1919 e nel 1920, a distanza di un anno, per vie indirette. Tra una notizia e l’altra non saprà nulla di lui, né dov’è, né se è vivo o morto. Nella casa di Borisoglebskij si installano nuovi abitanti, che cambiano continuamente: un gruppo di anarchici, il comunista Zaks, un attore, un produttore di vodka clandestina con la famiglia… Cvetaeva e le figlie, ridotte anch’esse a inquilini come gli altri, vivono in inverno nella cucina, la stanza più calda della casa, e in estate nella mansarda di Sergej; poi, nell’ultimo anno prima dell’emigrazione, al piano superiore vengono trasferite nuove persone, e a Cvetaeva e alle figlie restano le stanze del piano inferiore.
Marina, cresciuta in una famiglia colta e benestante dell’intelligencija russa, con governanti, domestici e bambinaie, non è abituata ai lavori domestici. Ora non solo lava, pulisce, tiene accesa la stufa, va a procurarsi cibo e acqua, cucina, si occupa delle figlie, ma ogni giorno spacca e sega lei stessa la legna, facendo a pezzi i mobili di casa e le assi della mansarda, mentre vende a poco a poco tutto quello che ha, libri, oggetti e vestiti, il pianoforte della madre (barattato con un pud di farina), vivendo, ciononostante, ai limiti dell’indigenza.
Eppure, in queste condizioni così estreme da risultare, per chi non le abbia vissute, inimmaginabili, pur attraverso i momenti di più buia disperazione, la vita e la scrittura di Marina pulsano di un’inesausta vitalità. Colpisce in questi taccuini, insieme a tante altre cose, ciò che lei stessa definisce “l’allegria, l’acutezza del pensiero, la gioia per ogni minimo successo”. Colpisce l’intensità dei rapporti umani di quelli che furono gli ultimi sprazzi di una caotica, anarchica e insieme disperata bohème artistica, i cui protagonisti sarebbero stati ben presto nel migliore dei casi dispersi dall’emigrazione, quando non uccisi in guerra o arrestati per poi sparire nel nulla.
Nel periodo postrivoluzionario Cvetaeva frequenta non solo amici poeti, pittori e scrittori, ma anche e soprattutto attori. La Mosca dei primissimi anni ’20 vive una grande effervescenza teatrale: fioriscono i teatri piccoli e grandi e gli studi sperimentali come il Secondo Studio del Teatro d’Arte, guidato da V.L. Mcedelov e il Terzo Studio, di E.B. Vachtangov. Cvetaeva era entrata in contatto con i teatranti per caso: nel treno che nell’ottobre del 1917 la portava da Mosca in Crimea aveva sentito qualcuno recitare dei versi che l’avevano colpita. A Mosca ne aveva cercato e trovato l’autore, il giovanissimo poeta e attore del Terzo Studio, Pavel Antokol’skij. Sarà lui a presentarle gli altri attori: il bellissimo narciso Jurij Zavadskij, il vecchio e aristocratico Aleksej Stachovic, il giovane amico fraterno Vladimir Alekseev, la piccola e fragile Sonecka Holliday. S’instaura un clima di condivisione artistica e poetica e di diffuso erotismo, le attrazioni omo- ed eterosessuali si intrecciano (ricordiamo che nei confronti dell’omosessualità la Mosca dei primi anni ’20 era aperta e tollerante). Per i suoi amici teatranti Cvetaeva scriverà in questi anni sei pièces in versi, La tormenta, Fortuna, L’angelo di pietra, Il fante di cuori, La fine di Casanova (poi ribattezzata La Fenice), L’avventura; in seguito raccolte sotto il titolo Romantika, non verranno mai rappresentate.
Del teatro attirava Marina non tanto la messa in scena, il principio visivo, spettacolare, che le fu sempre estraneo, ma quello verbale, la parola, e quello “mitico”, la possibilità di incarnare personaggi a lei cari, come per esempio Casanova o il duca di Lauzun, in persone reali, e viceversa, di identificare persone reali, gli attori e le loro storie, con fatti del passato e universali. Tutte le pièces...




