Chuang | Contagio Sociale | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 364 Seiten

Reihe: Not

Chuang Contagio Sociale

Guerra di classe microbiologica in Cina
1. Auflage 2023
ISBN: 978-88-8056-222-1
Verlag: Nero editions
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Guerra di classe microbiologica in Cina

E-Book, Italienisch, 364 Seiten

Reihe: Not

ISBN: 978-88-8056-222-1
Verlag: Nero editions
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Salutato come uno dei testi più illuminanti sulla Cina contemporanea, Contagio sociale racconta la storia segreta dell'epidemia di COVID-19 a Wuhan, dove la vita quotidiana degli abitanti si è scontrata da una parte contro un virus letale e (all'epoca) poco conosciuto, dall'altra contro uno Stato repressivo e totalitario. Per il collettivo anonimo Chuang, composto da attivist? residenti sia dentro che fuori la Cina, a rendere possibile il proliferare di nuovi e mortali virus è innanzitutto un modello economico basato sulla crescita incontrollata, di cui il cosiddetto «gigante asiatico» è oggi il simbolo su scala globale. Eppure, proprio il caso di Wuhan dimostra quanto un simile sistema sia fragile e pericoloso: l'avvento del COVID-19 si è infatti tradotto in una serie di misure tanto arbitrarie quanto inefficaci da parte delle autorità cinesi, mentre le persone comuni, pur di sopravvivere, sono state costrette a strategie clandestine e sotterranee. Attraverso interviste, reportage e analisi sul campo, Contagio sociale ci offre il ritratto inquietante di un mondo in cui convivono microbiologia, crisi sanitarie e nuovi modelli di repressione, e il risultato è una dimensione perpetua di crisi e isolamento sociale. Altri virus, altre pandemie arriveranno: il COVID-19 è stato solo un banco di prova, e il modello Wuhan un primo indizio del futuro che ci aspetta. - La cronaca unica e inestimabile dell'epidemia di Coronavirus a Wuhan. Contagio sociale sfata lo stereotipo occidentale che vuole la popolazione cinese atomizzata e dominata da uno Stato onnipotente in stile Grande Fratello, sottolineando invece l'impressionante capacità della gente comune di rispondere ai fallimenti del governo. MIKE DAVIS Quella del collettivo ? Chuang è un'incisiva analisi comunista sulle dimensioni globali dell'esperienza cinese, non condizionata dai vecchi dibattiti del XX secolo e sostenuta da una continua attenzione alle circostanze mutevoli della lotta proletaria, in Cina e non solo. THE BROOKLYN RAIL Tra le letture fondamentali per comprendere le implicazioni della pandemia e accennare alla possibilità di una resilienza collettiva. TANK MAGAZINE

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Prefazione
di David Ranney


Contagio sociale offre uno sguardo specificamente cinese sulla pandemia di Covid-19 che si è manifestata proprio in Cina, a Wuhan, per poi diffondersi nel resto del mondo. Gli autori, Chuang [?, Chuang], sono un collettivo comunista internazionale. Molti membri attualmente vivono e lavorano in Cina. Pubblicano una rivista teorica omonima che analizza l’economia cinese e le lotte della sua classe lavoratrice. In questo libro, l’analisi di Chuang respinge l’assunto razzista e xenofobo secondo cui la pandemia di Covid-19 sarebbe una specie di «influenza cinese». Non c’è niente di esclusivamente cinese, infatti, nella comparsa e nella diffusione di questo virus. Negli ultimi venti e passa anni, il mondo ha subìto l’attacco di una serie di nuovi coronavirus e virus di altro tipo che sono apparsi in diversi paesi. Tra questi Ebola (1996); Sars (2003); H5N1, anche detto «influenza aviaria» (2005); H1N1 o «influenza suina» (2009); Mers (2012); Ebola 2 (2013); e il più devastante di tutti, quello che provoca il Covid-19, il virus Sars-Cov-2 (2020). Molti epidemiologi ci avvertono che ce ne saranno altri, e che il prossimo potrebbe causare una catastrofe globale peggiore di quella che stiamo affrontando adesso.

Tutte queste epidemie sono il risultato di una serie di fattori connessi al bisogno insaziabile che ha il capitalismo globale di accumulare plusvalore attraverso la crescita. Tra questi fattori ci sono: 1) la distruzione degli habitat di specie che fino a questo momento avevano vissuto separate da quella umana; 2) lo sviluppo di metodi di allevamento industriale su larga scala; 3) l’adozione di procedure istituzionali e politiche per ottenere una mobilità globale dei capitali; 4) l’inquinamento e il riscaldamento globale, che hanno aumentato la diffusione dei virus favorendo lo sviluppo di nuove patologie, rendendo la specie umana più vulnerabile alle epidemie virali; 5) le guerre e le catastrofi «naturali» che hanno costretto molte persone nel mondo a migrare; 6) la rapida urbanizzazione che ha scatenato migrazioni di massa tra un paese e l’altro e all’interno dei singoli Stati.

In Cina questi fattori assumono una forma specifica, che Chuang descrive nel primo capitolo di questo libro. Per Chuang, l’epidemia di Covid-19 rappresenta un «contagio sociale» e una «guerra di classe microbiologica». Il collettivo dimostra che in Cina il contagio sociale è stato arginato prima di tutto attraverso l’azione diretta delle lavoratrici e dei lavoratori e delle istituzioni locali, e afferma che nella fase iniziale della pandemia lo Stato cinese era stato sopraffatto dalla comparsa del virus, che rischiava di compromettere lo sviluppo capitalistico del paese. Le inchieste operaie nel secondo capitolo e le interviste alle persone sul campo nel terzo capitolo mostrano concretamente come la gente comune abbia usato le istituzioni locali per tenere sotto controllo il virus. Il quarto capitolo si concentra su come il governo centrale cinese abbia poi strumentalizzato la crisi per rafforzare il proprio controllo sulle istituzioni locali. Chuang definisce gli interventi del governo «una melodrammatica prova generale di mobilitazione anti-insurrezionale generalizzata». Ma la sfida lanciata dalla pandemia al controllo statale non ha riguardato solo la Cina, e le prove generali di contro-insurrezione interna si stanno svolgendo in tutto il mondo, mentre gli Stati capitalistici si arrabattano nel tentativo di fermare la pandemia, preparandosi alle future epidemie e alle sfide della classe lavoratrice, la quale sta prendendo coscienza che il capitalismo non solo porta malattie, ma non riesce a fornire cibo, abiti, abitazioni, educazione e cura per un numero crescente di persone.

Chuang spiega che lo scoppio dell’epidemia di Covid-19 in Cina è stato in gran parte causato dalla rapida urbanizzazione e industrializzazione, con tutti i cambiamenti che hanno comportato nella dieta della popolazione cinese e della classe lavoratrice degli altri paesi asiatici. Queste trasformazioni hanno accompagnato l’ingresso della Cina nel mercato capitalistico globale. Alla fine degli anni Settanta, la dirigenza cinese ha iniziato a adottare politiche per liberalizzare la produzione agricola e attrarre gradualmente investimenti da oltreoceano. Con il risultato che, verso la fine degli anni Duemila,la crescita dell’economia cinese è diventata dipendente dall’esportazione della produzione manifatturiera concentrata nelle province costiere della nuova «sunbelt».1 Grosse regioni del paese sono state coinvolte nel boom edilizio e gran parte della popolazione rurale è emigrata in queste zone per lavorare nelle nuove fabbriche. Chuang nota che nella seconda metà degli anni Settanta solo il 20% della popolazione cinese viveva nelle città, mentre attualmente la percentuale supera il 60%. Il rapido sviluppo urbano ha accelerato il processo di distruzione degli habitat di molti animali selvatici, portando un gran numero di virus a contatto con esseri umani e animali addomesticati.

Queste trasformazioni, iniziate alla fine degli anni Settanta, riguardavano molte parti del mondo; ma la loro progettazione risaliva a molto prima. Senza rendermene conto (all’epoca), avevo partecipato ad alcune discussioni in India che presagivano gli enormi cambiamenti nello sviluppo economico e nell’agricoltura che avrebbero investito la Cina e il resto del mondo. Tra il 1963 e il 1964 ho passato un anno a Calcutta, in India, come tirocinante per il governo del Bengala Occidentale e la Fondazione Ford. Lavoravamo a un piano di sviluppo per la regione. Il problema era che troppe persone si stavano trasferendo in città dai villaggi rurali circostanti. Sia i funzionari sia i progettisti consideravano Calcutta «troppo urbanizzata». Il numero di persone che migrava in città superava i posti di lavoro e gli alloggi disponibili. I sociologi e i geografi chiamavano il problema «rural push» [«spinta rurale»]. Visitando alcuni villaggi rurali nei dintorni di Calcutta, ho scoperto che gli abitanti vivevano di agricoltura e allevamento di sussistenza. Si coltivava riso e si allevavano capre e polli in piccoli appezzamenti di terreno. Ma non c’era abbastanza cibo per una popolazione in rapida crescita. Perciò, alcuni contadini lasciavano i villaggi e cercavano lavoro a Calcutta. La soluzione dei progettisti fu creare un anello di città industriali satellite al posto dei villaggi. Quando le condizioni economiche globali iniziarono a cambiare, l’idea di convertire l’hinterland urbano in città industriali diventò un modello e un elemento chiave per la crescita economica in paesi come India e Cina.

Ho concluso quell’anno all’estero con un viaggio in Asia. Al tempo sia la Repubblica Popolare Cinese sia gli Stati Uniti proibivano ai cittadini statunitensi di viaggiare in Cina. Hong Kong, però, era ancora una colonia inglese, quindi potevamo fermarci lì. Ricordo il tragitto in macchina verso il confine tra Hong Kong e Cina. Abbiamo attraversato delle campagne bellissime. Il confine era pesantemente militarizzato, con tanto di torrette armate presidiate dall’esercito cinese. I soldati stavano di guardia equipaggiati di armi automatiche. Il conducente ci spiegò che la frontiera era stata chiusa per fermare il flusso di contadini cinesi che si dirigeva a Hong Kong, perché i campi non sostenevano più il ritmo di crescita della popolazione. Guardando attraverso la recinzione ho visto uno splendido panorama campestre con laghetti e paludi, dolci colline e risaie.

A metà degli anni Novanta, trent’anni dopo, la Cina si era ormai aperta all’Occidente. Una mia studentessa di pianificazione urbana alla University of Illinois di Chicago era andata in Cina per insegnare inglese come seconda lingua. Lavorava nella città di Shenzhen [??, Shenzhèn], che si trova nella provincia del Guangdong [??, Guangdong], confinante con Hong Kong. Al ritorno ci ha mostrato le diapositive del suo periodo a Shenzhen. Ci ha spiegato che quella un tempo era un’area rurale di confine, ma ormai era pienamente sviluppata con allevamenti industriali e stabilimenti di industria leggera che producevano beni per l’esportazione. Negli anni Sessanta, Shenzhen, che è vicina a dove mi trovavo io sul lato di Hong Kong del confine, era un borghetto tranquillo. Nel 1970 era cresciuta fino a diventare una piccola città di 337.000 abitanti. Nel 2006, la popolazione di Shenzhen contava 8,5 milioni di abitanti. La mia studente ha raccontato che nell’anno trascorso lì aveva visto macchinari per l’edilizia pesante impegnati a interrare paludi, prosciugare laghi, livellare colline, e costruire, costruire, costruire.

L’urbanizzazione e lo sviluppo industriale della Cina hanno iniziato a decollare negli anni Ottanta e gli investimenti stranieri hanno avuto un ruolo significativo. La Cina istituì quattro «zone economiche speciali», una delle quali era Shenzhen. Wuhan [??, Wuhàn], dove si è scoperto il primo focolaio di Covid-19, si trova molto a nord di Shenzhen, lungo il fiume Yangtze [??, Chángjiang]. Grazie alla posizione sullo Yangtze ha potuto importare le materie prime necessarie a diventare un grosso produttore di cemento e acciaio, usati per costruire le infrastrutture urbane.

L’urbanizzazione e l’industrializzazione della Cina rientravano in una tendenza molto più ampia. Negli anni Sessanta, i paesi colonizzati e quelli che si reggevano sull’agricoltura erano spesso definiti «terzo mondo» o «paesi sottosviluppati». Ma a partire dagli anni Settanta e Ottanta, economisti e politologi hanno adottato l’espressione «paesi di recente...



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