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E-Book, Italienisch, Band 60, 395 Seiten

Reihe: Not

Chu Authority

Scritti sull'avere ragione
1. Auflage 2025
ISBN: 978-88-8056-320-4
Verlag: Nero editions
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Scritti sull'avere ragione

E-Book, Italienisch, Band 60, 395 Seiten

Reihe: Not

ISBN: 978-88-8056-320-4
Verlag: Nero editions
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



«Se l'unico compito della critica è offrire cibo per il pensiero, io dico: lasciamo che il pensiero muoia di fame.» Negli anni successivi alla pubblicazione di «Sull'attrazione per le donne», il saggio che nel 2018 accese il dibattito sul rapporto tra desiderio, femminismo e transizione di genere, Andrea Long Chu si è affermata come una delle voci più indipendenti e raffinate del panorama contemporaneo, fino a ricevere il Premio Pulitzer per la critica nel 2023. Nei suoi scritti Chu sfida la tendenza accomodante a tenere separate l'arte e la politica, osservando il mondo che la circonda e i suoi prodotti culturali con eccezionale chiarezza di pensiero e vivacità polemica. È così che l'ultima messa in scena del Fantasma dell'Opera diventa l'occasione per ripercorrere il conflitto secolare tra musica e teatro; che la trasposizione seriale di The Last of Us sfuma in una riflessione sul senso di impotenza di fronte alla morte; che la lettura di autrici come Octavia Butler, Ottessa Moshfegh, Maggie Nelson, Zadie Smith, Hanya Yanagihara permette di lanciare uno sguardo oltre la macchina del successo; che la visione di una seguitissima serie neowestern innesca un ragionamento sul colonialismo americano. Authority raccoglie i migliori articoli pubblicati da Chu negli anni, nonché due saggi inediti in cui l'autrice affronta la questione dell'autorità e l'annosa crisi della critica, dimostrando che quest'ultima dura da sempre, e oggi sono ben altre le crisi di cui occuparsi. Authority prende allora la forma di una dichiarazione d'intenti, di uno strumento affilato e generoso che aiuta ad assumere l'occhio del critico e guardare in faccia, dagli autoritarismi mascherati da democrazie al genocidio, le profonde crisi del nostro tempo. Traduzione di Clara Ciccioni. - Il premio per la critica è assegnato a Andrea Long Chu per articoli che analizzano tanto gli autori e le autrici quanto le loro opere, usando una pluralità di prospettive culturali per esplorare alcuni degli argomenti più spinosi che la società si trova ad affrontare. GIURIA DEL PREMIO PULITZER Leggere Andrea Long Chu è un po' come trovarsi sulla faglia di un terremoto: la terra inevitabilmente si muove. THE NEW REPUBLIC Tra le migliori voci critiche del presente. NEW YORK MAGAZINE

Andrea Long Chu è saggista e critica culturale per il New York magazine, vincitrice del Premio Pulitzer per la critica nel 2023. Nel 2019 ha pubblicato Femmine (NERO, 2019), finalista del Lambda Literary Award per la saggistica transgender. I suoi scritti sono stati inclusi nel Best American Essays 2022 e il Best American Nonrequired Reading 2019. Suoi saggi sono comparsi su n+1, The New York Times, The New Yorker, Artforum, Bookforum, Boston Review, The Chronicle of Higher Education, 4Columns e Jewish Currents. Si è laureata in letterature comparate alla New York University e ha pubblicato articoli sulle riviste accademiche differences, Journal of Speculative Philosophy, Women & Performance eTransgender Studies Quarterly.
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I RAGAZZI DI HANYA


Quando finirai di leggere Una vita come tante (A Little Life), avrai letto un intero libro aspettando che un uomo si suicidi. Il secondo romanzo di Hanya Yanagihara comincia come un racconto leggero di amicizia maschile tra quattro ex compagni di college a New York, per poi concentrarsi su Jude, un avvocato societario la cui lotta pluridecennale per reprimere un’infanzia di irriducibili sofferenze – è cresciuto tra i pedofili di un monastero, è stato rapito e costretto a prostituirsi nei motel, molestato dagli assistenti sociali in un orfanotrofio, poi rapito di nuovo, torturato, stuprato, ridotto alla fame e investito da una macchina – si conclude con il suicidio.

Improbabile lettura da spiaggia con una risacca dark, nel 2015 Una vita come tante è divenuto un enorme best seller. La critica lo ha osannato, spingendosi in un caso a dichiararlo il tanto atteso «grande romanzo gay» per la spietatezza con cui tratta Jude, che si innamora del suo migliore amico (a una delle rare stroncature, pubblicata sulla New York Review of Books, l’editor di Yanagihara ha risposto prontamente con una lettera indignata). Una vita come tante avrebbe poi vinto il Kirkus Prize e si sarebbe piazzato tra i finalisti del National Book Award e del Man Booker Prize; il celebre regista Ivo van Hove ne ha tratto un adattamento teatrale, e il mese scorso i lettori del New York Times lo hanno candidato a miglior libro degli ultimi 125 anni accanto a titoli come Amatissima e 1984.

Ma le intenzioni di Yanagihara rimangono misteriose. L’autrice è nata a Los Angeles da un hawaiano-giapponese di terza generazione e una coreana nata a Seul; il padre, un oncologo ematologo, ha spostato la famiglia in giro per il paese per lavoro. Hanya vive a Manhattan da quando aveva poco più di vent’anni, ma il suo cuore è a Tokyo e alle Hawaii (ha definito le Hawaii «la cosa più simile a Harlem per gli asiatici americani»). Il suo primo romanzo, Il popolo degli alberi, la storia di un medico che scopre l’immortalità su un’isola paradisiaca, aveva ricevuto un’accoglienza buona ma sommessa quando uscì nel 2013. Il libro conteneva omosessualità e pedofilia, che poi Una vita come tante rivelò essere ossessioni ricorrenti dell’autrice. Yanagihara ha impiegato diciotto anni a scrivere Il popolo degli alberi, dedicandosi al libro con discontinuità, mentre lavorava come ufficio stampa, editor letteraria e giornalista. Per scrivere Una vita come tante, mentre collaborava come giornalista al Condé Nast Traveler, ci sono voluti soltanto diciotto mesi.

Come spiegare il successo di questo romanzo? Di recente la critica Parul Sehgal ha osservato che Una vita come tante è un esempio notevole di «trauma plot»: la narrativa che sfrutta una storia traumatica di sfondo come scorciatoia per la narrazione. Non è difficile vedere in Jude «l’incarnazione di una voce del Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali», perfettamente costruita per piacere a «un mondo che va pazzo per le vittime». Ma Jude odia parole come abuso e disabile, e si rifiuta di andare da uno psicologo per quasi tutto il romanzo, mentre Yanagihara ha scetticamente paragonato la psicoterapia a «tirare fuori il cervello dal cranio e metterlo nelle mani di una persona per farglielo punzecchiare» (il più perverso dei torturatori di Jude è uno psichiatra). La cosa più interessante – e seccante e disturbante – di Una vita come tante è l’onnipresenza dell’autrice nel romanzo, non semplicemente nella veste dell’«intelligenza perversa» che ha concepito il trauma di Jude, per dirla con le parole di un’altra critica, ma come la presenza possessiva che, contro ogni previsione, lo mantiene in vita. Una vita come tante è stato giustamente definito una storia d’amore, ma la critica non ha notato che una delle amanti era l’autrice.

Ecco il principio guida di Yanagihara: se esiste il vero mistero, allora esiste anche il vero amore. Questa semplice idea, infantile nella sua brutalità, pervade tutta la sua narrativa. L’autrice non sembra capace, o disposta, a concepire l’amore come altro da una terapia di rianimazione; la mostruosità intrinseca all’amore – il suo desiderio smodato, la sua distruttività – si può giustificare soltanto con la sofferenza. Questa idea è presente in nuce in Il popolo degli alberi, dove diversi personaggi sono sempre sul punto di morire, e che si conclude con la dichiarazione d’amore di uno stupratore. In Una vita come tante, trova compimento nell’angosciata figura di Jude e la cerchia di amici in odor di santità che lo adorano. Nel nuovo romanzo di Yanagihara, Verso il paradiso (To Paradise), che racconta le storie di tre persone in fuga da un’utopia infranta all’altra, il principio dell’infelicità diventa aereo, passando come un gas nebulizzato da una persona all’altra pur mantenendo il suo scopo fondamentale: permettere all’autrice di inserirsi come una sorta di sinistra badante, che avvelena i suoi personaggi per poi curarli amorevolmente e rimetterli in salute.

Due anni dopo la pubblicazione di Una vita come tante, Yanagihara diventa direttrice di T, l’inserto mensile di moda e lifestyle del New York Times. L’autrice ha definito T «una rivista culturale mascherata da rivista di moda» – benché per trovarne conferma si debbano sfogliare parecchie pagine di pubblicità di prodotti di lusso. Quando lavorava per Condé Nast Traveler, la rivista la spedì in uno sbalorditivo viaggio di 45 giorni in 24 città di 12 paesi diversi, dallo Sri Lanka al Giappone, costato 60.000 dollari, per un numero del 2013 intitolato, incredibilmente, «Il Grand Tour dell’Asia». «Un viaggio in India non è completo senza una sosta al leggendario Gem Palace» scriveva nella didascalia di un servizio fotografico intitolato «Il bottino», «e qualche diamante per ricordo» – quattro braccialetti di diamanti, per la precisione, del costo di 900 dollari l’uno. «Quando indossiamo un gioiello realizzato su misura» ha detto una volta Yanagihara alle lettrici di T, «stiamo proseguendo una tradizione antica quanto i romani, i greci, i persiani… anzi, ancora più antica».

Forse vi sorprenderà, ma è facile dimenticare che Una vita come tante è uno spudorato romanzo di lifestyle. I problemi strazianti di Jude sono infilati tra inaugurazioni di gallerie nel Lower East Side, estati a Cape Cod, una vacanza ad Hanoi. La critica ha sottolineato l’appetitosa (o esasperante) quantità di delizie culinarie disseminate nel libro, dall’anatra all’arancia all’insalata d’indivia con pere e jamón iberico, seguite dalle crostate ai pinoli, la tarte Tatin e una torta alle dieci noci fatta in casa che l’autrice anni dopo ha descritto come un incrocio tra il rugbrød, il pane di segale danese, e un pane al latte giapponese che aveva assaggiato una volta in un panificio di Tokyo. Il libro ha ispirato lo chef e personaggio televisivo Antoni Porowski a pubblicare una ricetta chiamata «Gougères per Jude», ispirata alle tartine che Jude prepara per una festa di Capodanno prima di tagliarsi le braccia così tanto da dover chiamare un’ambulanza; la ricetta si trova sul sito di Boursin, il brand francese di formaggi erborinati.

Con la sua feroce sequela di orrori, Yanagihara è riuscita a far rimuovere ai lettori, come un trauma infantile, il fatto che stavano leggendo del materiale per riviste di lusso. Il suo primo libro era quasi letteralmente un diario di viaggio scritto da una pedofila; in Verso il paradiso, Yanagihara non ha ancora perso il consueto tono di voce da professionista del giornalismo di lusso. Ed ecco che leggiamo di tappeti orientali dalle sfumature rosate, tende di seta dupion verde scuro, pavimenti in legno lucidati con olio di macadamia; e poi le taccole fritte nel wok, il syllabub al ginger wine, una crostatina ai pinoli (un’altra!). Come in Una vita come tante, Yanagihara non può fare a meno di dare allegramente indicazioni mentre manovra i suoi personaggi, come una guida turistica, per le strade di New York. «Tagliamo per Christopher, poi superiamo Little 8 e giriamo a est sulla Nona Strada prima di voltare a sud sulla Quinta Avenue» propone un personaggio minore in un momento di crisi.

Forse sto esagerando. Chi scrive romanzi dovrà pur descrivere le cose! O meglio, dovrebbe evocarle, come si fa con i morti, o con l’Oriente. Yanagihara ha l’occhio della turista per il dettaglio, che può rendere la sua narrazione molto avvincente. Ecco la vacanza ad Hanoi di Una vita come tante:

svoltò in un vicolo affollato di ristoranti improvvisati, che consistevano in una sola donna dietro una pentola nella quale bolliva dell’olio o della zuppa, e in quattro o cinque sgabelli di plastica […]. Si fermò all’imbocco del vicolo, aspettando che un uomo in bici gli passasse accanto, con un cesto legato dietro il sellino pieno di baguette […]. Poi percorse un altro vicoletto, zeppo di ambulanti acquattati sopra fasci di erbe, colline nere di mangostano e vassoi di metallo su cui erano ammucchiate decine di pesci argentati, così freschi che li sentiva ancora boccheggiare […].

Ed ecco i giorni 23 e 24 di quel «Gran Tour dell’Asia» su Condé Nast Traveler:

vedrete tutte quelle piccole scene […] che fanno di Hanoi il luogo che è: decine di stand di...



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