E-Book, Italienisch, 219 Seiten
Reihe: Filigrana
Cechov / Brunello Né per fama, né per denaro
1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-3389-357-0
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Consigli di scrittura e di vita
E-Book, Italienisch, 219 Seiten
Reihe: Filigrana
ISBN: 978-88-3389-357-0
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Questo libro è un autorevole e appassionante concentrato di consigli di scrittura. Le sue pagine, tratte dagli epistolari di Anton ?echov, dai suoi diari di viaggio, dai suoi reportage e dalle sue inchieste, sono raccolte in due sezioni. La prima è un prontuario per il novello scrittore: dai suggerimenti pratici sulla gestione dei personaggi al ruolo dell'intellettuale nella società, dai trucchi per comporre un periodo al rapporto dell'autore con la verità; la seconda è un vero e proprio corso, teorico e pratico, su come fare un reportage: dai preparativi alla scrittura finale, passando per la fondamentale fase della ricerca. Una lettura preziosa per gli aspiranti scrittori, ma anche per chiunque voglia scoprire i segreti di un mostro sacro della letteratura mondiale.
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Prefazione del curatore
1. Il naso fracassato dello scrittore
Questo libro raccoglie alcuni consigli di scrittura di Anton Cechov, scelti dal suo epistolario. Sono suggerimenti minuziosi, che Cechov ricavava dalla propria esperienza di lettore e di scrittore. «Una cattiva critica è meglio che niente... non ti pare?», scriveva al fratello maggiore Aleksandr.1 Pensava in questo modo di aiutarlo, alleviando la solitudine che accompagna la scrittura. In una delle lettere a Gor’kij, Cechov osservò una volta che «si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare».2
Nel suo quaderno di appunti, Cechov ironizzava sul ruolo di una certa critica: «L’opinione di un professore: non è Shakespeare che conta ma il commento a Shakespeare».3 Questo libretto propone pertanto i consigli di Cechov senza commento, ma con l’invito a prenderli sul serio. Sono stati scelti inizialmente per un uso personale, ma i suggerimenti di un grande scrittore possono essere utili a molti. Ecco dove è nata l’idea di farne un libro, diviso per argomenti.
è un piccolo vademecum da cui può trarre vantaggio non solo chi si voglia cimentare per la prima volta con la scrittura, ma anche chi già la pratica. Basti un esempio: Raymond Carver, che tenne per anni lezioni di scrittura creativa, dichiarava che Cechov aveva avuto «un’enorme importanza» per il suo lavoro. E i consigli di scrittura di Carver lo dimostrano: preferire «un linguaggio comune ma preciso», rifiutare «le parole appesantite dall’emozione incontrollata», scrivere per produrre «una seria testimonianza sulle nostre vite», sentire infine che la critica «può alleviare il senso di solitudine» di chi scrive.4
2. Era tanto che non bevevo champagne
Cechov scrisse in una lettera: «Leggere di se stessi qualsivoglia particolare – e ancor più scriverne per la stampa – è per me un autentico martirio».5 Davanti a questa frase, si esiterebbe a riassumere la vita di chiunque, non solo di Anton Cechov. Meglio quindi farlo attraverso le sue parole. Il secolo si stava allora chiudendo, Cechov aveva trentanove anni, e non potendo fare a meno di inviare un curriculum, scrisse questa rapida autobiografia:
Io, A.P. Cechov, sono nato il 17 gennaio 1860, a Taganrog. Ho studiato dapprima nella scuola greca aggregata alla chiesa dello zar Costantino, poi al liceo di Taganrog. Nel 1879 sono entrato all’università di Mosca nella facoltà di medicina. In generale avevo allora delle facoltà un concetto vago, e scelsi quella di medicina non ricordo per quali considerazioni, ma non ebbi a pentirmi della scelta. Già nel primo anno cominciai a pubblicare su riviste settimanali e su giornali, e al principio degli anni Ottanta tali occupazioni letterarie prendevano ormai un carattere continuativo, professionale. Nel 1888 m’hanno assegnato il premio Puškin. Nel 1890 andai nell’isola di Sachalin, onde scrivere poi un libro sulle nostre colonie penali e sull’ergastolo. Non contando le cronache giudiziarie, le recensioni, gli articoli d’appendice, i trafiletti, tutto ciò che ho scritto giorno per giorno per i giornali e che mi sarebbe difficile adesso cercare e raccogliere, in venti anni d’attività letteraria ho scritto e pubblicato più di cinquemila pagine stampate di novelle e racconti. Ho scritto anche dei lavori teatrali.
Non dubito che la pratica delle scienze mediche abbia avuto un profondo influsso sulla mia attività letteraria; essa ha notevolmente allargato il campo delle mie osservazioni, mi ha arricchito di cognizioni il cui vero pregio, per me in quanto scrittore, può comprendere solo chi è medico lui stesso; essa ha avuto anche un’influenza orientativa e, probabilmente grazie all’intimità con la medicina, son riuscito a evitare molti errori. La conoscenza delle scienze naturali, del metodo scientifico, m’ha sempre tenuto all’erta, e dov’è stato possibile io mi sono sforzato di conformarmi ai dati scientifici; dove ciò non è stato possibile, ho preferito non scrivere affatto. Osserverò a tal proposito che in arte le convenzioni non permettono sempre una piena adesione ai dati scientifici; non si può rappresentare sulla scena una morte per veleno così com’essa avviene effettivamente. Ma l’adesione ai dati scientifici deve farsi sentire anche in tali circostanze, cioè bisogna che al lettore o allo spettatore sia chiaro che si tratta solo d’una convenzione e che egli ha a che fare con uno scrittore esperto. Io non appartengo ai letterati che hanno verso la scienza un atteggiamento negativo, né vorrei far parte di coloro che vengono a capo di tutto con l’unico ausilio della loro testa.
Quanto all’esercizio della professione medica, ancora studente ho lavorato nell’ospedale provinciale di Voskresensk (vicino a Nuova Gerusalemme), alle dipendenze del rinomato medico provinciale P.A. Archangel’skij; poi sono stato per breve tempo medico all’ospedale di Zvenigorod. Negli anni del colera (’92-’93) ho diretto il settore di Melichovo, nel distretto di Serpuhov.6
Qui Cechov non parla della sua malattia; lo faceva solo con persone amiche, e sminuendone la gravità. A quindici anni ebbe una peritonite e rischiò di morire. Da allora soffrì di disturbi intestinali. A ventiquattro anni, il primo sbocco di sangue e la tubercolosi. A trentasette anni il male peggiorò. Si trovava a cena in un ristorante di Mosca con l’editore Suvorin. «Si era appena seduto di fronte a Suvorin», così proprio Raymond Carver in un famoso racconto dedicato al suo maestro Cechov ricostruisce l’episodio, «quando, all’improvviso, senza alcun segno premonitore, del sangue cominciò a sgorgargli copiosamente dalla bocca. Suvorin e due camerieri lo accompagnarono al bagno e tentarono, senza riuscirci, di fermare l’emorragia con impacchi di ghiaccio». Fu ricoverato in una clinica. «Quando Suvorin andò a fargli visita, Cechov si scusò per lo “scandalo” da lui provocato al ristorante tre sere prima, ma negò con una certa insistenza la gravità della situazione. “Rideva e scherzava come al solito”, annotò Suvorin nel suo diario, “mentre sputava sangue in una bacinella”».7
Cominciò a passare gli inverni in Crimea. Fece qualche viaggio nella speranza di potersi curare. Un’estate si recò a Badenweiler, una località nella Foresta Nera per malati di tisi, con l’attrice Olga Knipper. Si erano sposati tre anni prima.
Una notte Cechov chiese un dottore. Non lo aveva mai fatto in vita sua. Olga chiamò il medico e si fece portare del ghiaccio. Poi si mise a spaccare il ghiaccio sul pavimento, in silenzio, aiutata da uno studente russo che alloggiava nello stesso albergo.
Il dottor Schwörer – scrisse Olga nel suo diario – arrivò e con dolce amorevolezza cominciò a dire qualcosa, abbracciando Anton Pavlovic. Egli si sollevò con insolita sicurezza, si mise a sedere e disse, forte e chiaro: «Ich sterbe».8 Il dottore lo calmò, prese una siringa e gli fece un’iniezione di canfora, ordinò di dargli dello champagne. Anton Pavlovic prese il calice colmo, gettò uno sguardo tutt’intorno, mi sorrise e disse: «Da tempo non bevevo champagne». Bevve fino in fondo, si sdraiò piano sul fianco sinistro, io feci appena in tempo ad accorrere, chinarmi su di lui attraverso il mio letto, chiamarlo: già non respirava più, si era addormentato piano, come un bambino...
E quando se ne fu andato quello che era stato Anton Pavlovic, una farfalla notturna, grigia, di dimensioni enormi entrò dalla finestra e prese a battere in modo penoso contro i muri, il soffitto, la lampada, come in un’agonia di morte.9
Era il 2 luglio 1904. Cechov aveva quarantaquattro anni.
3. L’isola dei dannati
Un passo indietro. A trent’anni Cechov intraprese un viaggio fino a Sachalin, l’isola dei deportati. Le lettere che inviò da Sachalin rappresentano una parte molto significativa del suo epistolario. In molte di esse emergono i motivi più profondi della scrittura di Cechov: la forza morale che guidava la sua penna ma anche il progressivo superamento degli ostacoli che si frapponevano tra l’esperienza vissuta e la sua traduzione letteraria. Le persone vicine a Cechov non capirono il motivo di un’impresa così faticosa. Al suo editore Suvorin, che lo definiva un viaggio inutile, rispose:
Sachalin può essere inutile e priva di interesse soltanto per una società che non vi deporti migliaia di uomini e non vi spenda milioni di rubli. [...] Sachalin è il luogo delle più intollerabili sofferenze che possa sopportare l’uomo, libero o prigioniero che sia. [...] Mi spiace di non esser un sentimentale, altrimenti direi che ai luoghi simili a Sachalin noi dovremmo andare in pellegrinaggio come i turchi vanno alla Mecca; quanto agli uomini di mare e agli studiosi di problemi carcerari, essi debbono guardare in particolare a Sachalin come i militari a Sebastopoli. Dai libri che ho letto e sto leggendo è chiaro che abbiamo fatto marcire in prigione milioni di uomini, li abbiamo fatti marcire invano, senza criterio, barbaramente; abbiamo obbligato la gente a percorrere migliaia di verste al freddo, in catene, l’abbiamo contagiata con la sifilide, l’abbiamo corrotta, abbiamo moltiplicato i delinquenti, e di tutto questo addossiamo la colpa ai carcerieri dal naso rosso per il gran bere. Adesso tutta l’Europa colta sa che la colpa non è dei...