E-Book, Italienisch, 336 Seiten
Reihe: Narrativa
Ceccherini Che venga la notte
1. Auflage 2024
ISBN: 979-12-5480-112-3
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 336 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 979-12-5480-112-3
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Dall'ottobre del 1997 all'aprile del 1998, colpendo tra Liguria e Basso Piemonte, Donato Bilancia compie diciassette brutali omicidi. Dopo il suo arresto, avvenuto quasi per caso e in un clima di panico collettivo, l'Italia intera assiste con stupore alla rivelazione, e talvolta all'esibizione, di una personalità e di una vita tanto contorte quanto banali. Se da una parte l'assassino sembra incarnare il male assoluto e dunque, secondo un'idea diffusa, si dovrebbe ritrovare in lui una qualche infame eccezionalità, una grandezza seppur diabolica, dall'altra resta una figura irrimediabilmente 'non all'altezza', tutta schiacciata dalle proprie frustrazioni e dal bisogno insoddisfatto di apparire forte e vincente. Alessandro Ceccherini racconta così Donato Bilancia negli anni della giovinezza a Genova, quando cerca di darsi un tono con qualche bravata, poi in quelli della maturità, segnati da rapporti superficiali con la famiglia e dall'incapacità di costruirsi una vera base di affetti. Bilancia diventa un ladro d'appartamenti e un giocatore d'azzardo, è un piccolo delinquente come tanti, anche se non smette mai di ingrandire ai propri occhi e a quelli altrui la sua statura criminale. Finché d'improvviso, per ragioni mai pienamente comprese e forse incomprensibili, dopo una presunta truffa ai suoi danni da parte di due biscazzieri, si trasforma in assassino e quindi in spietato serial killer. Che venga la notte è la storia di un 'incubo straripato dal regno del sogno a quello dell'atto', un romanzo che non ha paura di fissare lo sguardo dentro l'abisso più profondo.
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2. La voce
Un debole scirocco accarezza l’acqua nera del Tirreno e si disperde tra gli sparuti bagliori elettrici del golfo di Genova. Un fulmine vibra un colpo alle montagne dell’entroterra illuminando l’orizzonte conficcato nelle nubi e da ponente si alza un vento freddo che batte su porto e città aumentando di forza a ogni secondo. La pressione atmosferica sale e il vento si gira arrivando da nord con raffiche così violente da sradicare le antenne e far volare via le tegole come per frugare nelle case.
Donato è seduto su una poltroncina del cinema Grattacielo. Lui e il Miccia, un amico conosciuto al riformatorio di Pontedecimo, sono venuti a vedere : al tavolo da poker Trinità mescola le carte con abilità sovrumana e serve tre full a Bambino e alle comparse, mentre dà un bel poker di 7 a Wild Cat Hendricks, il tronfio giocatore professionista, e riserva per se stesso un poker d’assi; alla fine Wild Cat lo accusa di aver barato. “Tu dici?” “Io dico”. Vanno al bancone del bar dove si minacciano e si mettono in posa per il duello, allora Trinità inizia a estrarre e riporre la pistola con rapidità eccezionale e nel frattempo prende a schiaffoni l’avversario che resta inebetito. Il pubblico in sala ride e Trinità parte con una seconda serie di virtuosismi accompagnati dal fragore delle manate, dallo scricchiolare della pelle quando rinfodera la pistola e dal fruscio di quando la fa vorticare in aria con l’indice infilato tra il grilletto e la guardia. Poi c’è un attimo di silenzio e Donato sente un sibilo venire dall’alto, così tira su il capo a cercare di indagarne l’origine.
“È il vento, te l’avevo detto che si metteva male,” gli fa notare il Miccia lì accanto.
Donato mugugna e si accende una sigaretta. Fa un bel tiro, scuote la cenere per terra ed espira il fumo mentre Trinità s’invaghisce di una bionda strafiga incontrata per strada, ovviamente contraccambiato.
Oltre un’ora dopo scorrono i titoli di coda e i due, insieme a una quarantina di altri spettatori, escono dalla sala superando i tendaggi rossi e le porte insonorizzanti. Nel foyer ci sono due carabinieri in divisa: il più giovane sembra avere venticinque anni e imbraccia il mitra scrutando le facce di chi esce; l’altro, un uomo alto dai baffi fini che a Donato ricorda Vincent Price, sta parlando con la cassiera che ha strappato i biglietti per la proiezione appena terminata, l’ultima della giornata. Donato abbassa d’istinto il capo in modo da non permettere all’agente col mitra di osservarlo in viso, il Miccia invece gli si avvicina. “Ué ma…” esordisce gesticolando interrogativo davanti al giovane carabiniere. “Che è successo?” domanda allungando il collo verso il militare.
Quello reimposta la presa sull’arma e valuta l’interlocutore da capo a piedi. “Niente che t’interessa”.
“E come posso sapere se non m’interessa? Sono un cittadino e ho il diritto di sapere se è stato commesso un crimine in questo cinema mentre ci guardavo un film,” afferma perentorio il Miccia.
Donato, lì accanto, osserva il carabiniere sostenere lo sguardo insistente dell’interlocutore.
“C’è stata una rapina,” afferma quello facendo ondeggiare la testa sotto la visiera rigida del cappello.
L’altro si schiarisce la voce e si volta per lanciare un’occhiataccia al collega.
“Una rapina? E quanto hanno rubato?” lo incalza il Miccia.
“Sei un giornalista?” gli domanda quello alto, che sulle spalline porta i gradi di maresciallo.
“No”.
“Allora comprati il giornale domattina”.
I due giovani escono sotto il portico di Torre Piacentini. La temperatura si è abbassata di cinque gradi rispetto a quando sono entrati e la tempesta batte sull’enorme slargo di piazza Dante come se un esercito invisibile sfogasse la propria rabbia su qualsiasi cosa avesse un corpo. Donato è costretto a rintanarsi in una nicchia per accendersi una sigaretta e lì si ferma a osservare una locandina del in programmazione al cinema Aurora: un bambino sulla schiena di un orso ride felice allungando una mano verso un serpente, e insieme a lui ridono tutti gli animali che ha intorno, anche la pantera e la tigre che in natura gli squarcerebbero il petto con un’artigliata.
“Mamma mia, sembra il Vietnam!” esclama un uomo stringendo a sé la propria compagna, quindi apre l’ombrello inclinandolo verso la direzione da cui arrivano le folate e prova ad attraversare la strada, ma una raffica ribalta la tesa e gli strappa via l’impugnatura.
Donato osserva quello scudo contro la pioggia salire in alto come qualcosa di effimero per poi scomparire ingoiato dalla galleria Cristoforo Colombo, una bocca spalancata con sopra tre occhi che spiano instancabili.
“Andiamo, qui non va a migliorare,” lo esorta il Miccia lanciando la sigaretta che viene subito trascinata via dal vento.
Pochi minuti dopo Donato guida l’auto in direzione Foce, dove i due si scalderanno bevendo al Roxy Bar per poi affrontare il cuore del sabato sera al San Francisco, un night a Sampierdarena. Arrivano a piazzale Kennedy ma sono costretti ad accostare l’auto per le raffiche che la scuotono: il mare sbatte sul muretto che vorrebbe contenerlo e spruzza in alto la spuma illuminata dai lampioni, poi una ventata feroce divelle la copertura della giostra al centro dello spiazzo facendo volare l’enorme telo in direzione del salone nautico; una delle macchine dell’autoscontro cade dalla pedana e si ribalta, poi ne cade un’altra che procede spedita verso i due fino a impuntarsi sul marciapiede.
“Notte da paura,” constata il Miccia mentre Donato bestemmia.
Ripartono lentamente e poco dopo svoltano in via di Rimassa. “Quello è il negozio della famiglia di Tenco,” dice il Miccia picchiettando il dito sul finestrino.
Donato butta un occhio oltre le macchine parcheggiate e fissa l’insegna di una rivendita di vini, poi spia i corpi nudi di donna scolpiti sulle colonne ai lati di un portone e prima che la strada diventi corso Torino svolta a sinistra, in via Cecchi. Parcheggia non lontano dal Roxy Bar, dove entrano poco dopo. Sulla soglia incrociano due uomini che stanno uscendo, uno dei due porta gli occhiali scuri e si muove lento come un cieco; i nuovi arrivati entrano e attraversano la sala affollata fino a raggiungere il bancone dove ordinano due amari Oro Pilla. Accanto a loro ci sono tre tizi che ridacchiano.
“Cazzo, che matti che sono,” dice uno.
“Dei geni assoluti,” replica il secondo. “Dovremmo farlo anche noi, io faccio l’interprete e voi due vi vestite da sceicchi”.
“Allah Allah Mustafa!” esclama il terzo.
“Bravo, il ruolo è tuo. Ci facciamo spiegare tutto sullo yacht più grosso che c’è e poi, appena ci dicono il prezzo, gli spariamo un bel bestemmione in genovese!”
“Andrebbe ripresa con la telecamera una cosa così”.
“Riccardo… lui è il migliore. Se non gli fosse capitato quell’incidente…” dice il primo interrompendosi per voltarsi verso Donato e il Miccia. “Voi lo sapete chi è Riccardo Mannerini?”
Entrambi fanno cenno di no.
“È uscito ora, di certo l’avete visto entrando. Gli è esplosa una caldaia in faccia mentre stava in mare…” dice quello scuotendo il capo, poi si alza dallo sgabello. “Siamo tutti sulla stessa barca,” motteggia dando una pacca a Donato. “Ma lo scafo è fragile ed è pronta a colare a picco,” aggiunge barcollando verso il bagno.
Donato manda giù un sorso e schiocca le labbra, quindi sbatte il bicchiere sul tavolo come si farebbe al bancone di un saloon. “Stacci da solo sulla tua barca merdosa,” sussurra verso il Miccia con la voce ruvida e metallica, grattugiata dalle corde vocali perennemente infiammate.
Il martedì seguente la temperatura si è abbassata ancora: l’inverno è arrivato. Donato è al bar, inzuppa il cornetto nel cappuccino mentre legge di un colonnello inglese caduto con l’auto in mare e morto a Massa Carrara.
“Vogliono arrestare gli edicolanti che vendono giornaletti porno, e inoltre la buoncostume va ad arrestare i travestiti, cinque ne hanno presi a Sampierdarena!” racconta un cliente parlando col barista che in risposta scuote il capo. “Ma a me che m’importa di chi s’inculano i bulicci?” prosegue. “Chi ha messo i cadaveri dei bambini nelle valigie alla stazione Principe, quelli sì che vorrei vederli in faccia, ma non li beccano mica! E sai perché? Perché chissà che storie di porci pieni di soldi ci sono dietro! Di certo vengono da qualche clinica dove i poveracci vanno a fare i figli per venderli alle mogli sterili degli industriali! Dicono che vengono dalla Svizzera!”
“Il mondo è questo, caro mio,” risponde il barista dando una sciacquata alle tazzine ammucchiate nel lavello. “Che vuoi farci?”
Il cliente scuote il capo e guarda fuori. “E poi c’è questo vento…” aggiunge inquieto. “Non la smette di tormentare”.
“Il...