E-Book, Italienisch, 156 Seiten
Reihe: Saggi
Cavaglion Decontaminare le memorie
1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-6783-329-0
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Luoghi, libri, sogni
E-Book, Italienisch, 156 Seiten
Reihe: Saggi
ISBN: 978-88-6783-329-0
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Ci dicono che il paesaggio è il grande malato, preda di speculatori: basta affacciarsi alla finestra per vedere i condomini e le villette a schiera là dove c'erano pinete e prati. Ma la Storia non ha inferto al paesaggio danni altrettanto irreparabili? Si parte da un concetto logorato dall'uso, quello di memoria, cui si attaccano gli altrettanto logorati «giorni» della memoria. In un percorso tra luoghi e paesaggi carichi della violenza della storia, aiutato da libri e da sogni, Alberto Cavaglion suggerisce di usare uno sguardo libero, che scavi e insieme costruisca un percorso di rigenerazione. «Sulle rovine della grande selva del Novecento», dove la terra reca visibili i segni di contaminazioni, tutti - nelle stazioni ferroviarie, lungo le frontiere, su ponti crollati, negli stadi di calcio, nelle scuole - dovremo riscoprire l'inventiva della vita e della letteratura.
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Introduzione
Poche settimane prima che scoppiasse la pandemia mi è capitato di visitare, in rapida successione, tre luoghi della memoria del Novecento: il campo di concentramento di Fossoli (Carpi), da dove sono transitati Primo Levi e massima parte dei deportati italiani; Villa Emma a Nonantola: qui trovarono asilo, grazie all’aiuto della popolazione locale, decine e decine di bambini in fuga, inseguiti dai tedeschi. Infine la torre della Ghirlandina a Modena, da dove nel novembre del 1938 si gettò l’editore Angelo Fortunato Formiggini, all’indomani dell’emanazione delle leggi razziali.
Un fazzoletto di terra, tre luoghi-simbolo situati nella pianura del modenese, a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro, un concentrato di memorie da salvaguardare, adagiato in uno scenario che incanta i sensi. Un paesaggio agrario basato sullo schema ortogonale dei decumani, rimasto immutato per secoli, riprodotto, nella sua invariabilità, da agronomi, pittori, poeti, registi. Sono strade che non si possono percorrere senza riflettere sulle ferite recenti che hanno dovuto sopportare, sulle malattie di cui hanno sofferto. Potremmo definirli paesaggi convalescenti. In che misura dovrebbero entrare a far parte del patrimonio della nazione tutelato dall’articolo 9 della Costituzione? Non sarebbe il caso di osservarli meglio questi luoghi, se davvero pensiamo che sia necessario “non dimenticare”? A chi dovremo affidarne la cura, la custodia e la manutenzione?
Sono domande semplici, innocenti, che esigono tuttavia risposte complesse. In letteratura le chiamiamo «domande di Margherita», , dal personaggio ingenuo di Margarete nel di Goethe.
Ci è stato ripetuto che il paesaggio è il grande malato, preda di speculatori: per accorgersene basta affacciarsi alla finestra e vedere i condomini, le villette a schiera là dove c’erano pinete e prati. Giusto, ma la Storia non ha inferto danni altrettanto irreparabili?
Ti rincorrono questi dilemmi, mentre cammini, mentre parli con le persone, soprattutto con gli studenti delle scuole emiliane e dell’università di Modena, di Reggio Emilia, come mi è capitato di fare infinite volte e per tanti anni. Ci sono il degrado ambientale, la speculazione edilizia, le calamità più o meno naturali, lo sappiamo; ma a incidere il suolo e il paesaggio hanno collaborato anche altri fattori, altre storie.
Non solo il paesaggio, anche la memoria del nostro recente passato è degradata. La discussione sul suo futuro, sul futuro dei memoriali, dei musei del fascismo, della Resistenza e della Shoah, l’analisi delle buone (e cattive) pratiche scolastiche per il Giorno della Memoria mi sembrano giunte a un punto morto. Ogni anno, con l’approssimarsi del 27 gennaio o del 25 aprile abbiamo modo di rendercene conto. Da molto tempo il dibattito ruota intorno alle stesse cose, alle medesime lamentazioni, producendo saturazione e noia.
Parto, facendole mie, dalle amare riflessioni di Valentina Pisanty:
Due fatti sono sotto gli occhi di tutti. 1) Negli ultimi vent’anni la Shoah è stata oggetto di intense e capillari attività commemorative in tutto il mondo occidentale. 2) Negli ultimi vent’anni il razzismo e l’intolleranza sono aumentati a dismisura proprio nei paesi in cui le politiche della memoria sono state implementate con maggior vigore. Sono fatti irrelati, due serie storiche indipendenti, oppure un collegamento c’è, ed è compito di una società desiderosa di contrastare l’attuale ondata xenofoba interrogarsi sulle ragioni di questa contraddizione? La constatazione da cui trae avvio il mio intervento è il fallimento delle politiche della memoria, fondate sull’equazione semplicistica Per Non Dimenticare = Mai Più. La domanda è se tale insuccesso sia accidentale (la xenofobia cresce nonostante le politiche della memoria), o se non sia già insito nelle premesse (per come sono state impostate, quelle politiche non potevano che contribuire agli esiti che hanno prodotto). L’obiettivo è predisporsi a combattere la discriminazione in modo efficace e incisivo, che vuol dire anche onesto, consapevole e, ove necessario, autocritico.
Difficile darle torto, ma prendersela con i Guardiani della Memoria trovo sia ingiusto. Coloro che se la prendono con le ossessioni della memoria sembra che non si accorgano del pericolo cui vanno incontro. Questo accanimento finisce con il cancellare le qualità salvifiche e anche le potenzialità didattiche che possiede l’arte del ricordo. Della Memoria rischiamo di diventare i secondini.
Intanto credo sia lecito replicare con una domanda di Margherita: a quale livello di bassezza e di volgarità sarebbe sceso il nostro discorso pubblico, quanto peggiori sarebbero le conversazioni che si ascoltano sul web o in treno, talvolta nei corridoi delle scuole, se non vi fossero state, a porre un freno, iniziative lodevoli di insegnanti che hanno saputo e sanno fare buon uso del 27 gennaio? Attribuire loro una qualche complicità nel degrado è ingeneroso. Se la Memoria continua a essere oggetto di servo encomio, non è sopportabile il vile oltraggio degli ultimi anni. Infastidisce il susseguirsi, a ritmo galoppante, di lavori appartenenti ormai a un genere di scrittura saggistica consolidato, baciato, a quanto pare, da una discreta fortuna commerciale, ma viziato da una retorica di segno contrario. Più o meno identici i titoli che finiscono sui nostri tavoli di lavoro in prossimità di ogni 27 gennaio:
Il rapporto fra memoria e paesaggio in Italia sembra non interessare nessuno, come nessuno pensa che la funzione estetica, la bellezza dei luoghi e dei ricordi che essi rappresentano abbiano un grande valore nel processo educativo.
E dire che il dissesto causato dalla Storia sui luoghi della nostra quotidianità dovrebbe essere sentito almeno quanto lo è il prodotto della fatica umana: quelle ferite, inferte al paesaggio dall’odio, dalla guerra, dalle torture, dai bombardamenti, dalle rappresaglie, vengono a oscurare un manto che è frutto del lavoro di millenni: «Ogni regione civile si distingue dalle selvagge in questo: ch’ella è un immenso deposito di fatiche». La famosa sentenza di Carlo Cattaneo andrebbe estesa.
Altrettanto vasto è il deposito delle sofferenze patite dai luoghi. Una nazione civile si dovrebbe distinguere da una nazione selvaggia nella misura in cui riconosce di essere un deposito di lotte crudeli, di guerre, di patimenti. Queste ferite gettano un’ombra inquietante, ma alla fine devono abituarsi a convivere con l’antico dell’Italia come grande giardino, celebrato da generazioni di viaggiatori stranieri.
Riflettere sui paesaggi-giardino deturpati dalla violenza esercitata dall’uomo che opprime il nemico non è una novità del XX secolo. Sappiamo che esistono antiche narrazioni apocalittiche, dove quadri naturali catastrofici da un lato si collegano con l’azione malvagia degli uomini, dall’altro con la loro capacità di redimersi, di restituire quiete al paesaggio violato, una dialettica classica, catastrofe-rigenerazione. È un patrimonio immenso di scritture che risale alla Bibbia: disegni, affreschi, musiche di scena, cui non si può fare a meno di pensare quando viaggiamo per l’Italia con animo costruttivo, senza lasciarci schiacciare dal demone dell’attualità o da un dovere di ricordare imposto da una memoria pubblica capace di denunciare gli abusi, ma non di fare proposte. Si tratta di riprendere un cammino, di riallacciare il presente al passato. Quelle che seguono sono alcune riflessioni per un buon uso della memoria, volte a invertire una tendenza diffusa fra gli studiosi e non solo, irriverente, dissacratoria.
Forme di rappresentazioni che abbiano come sfondo la Natura violata dalla brutalità umana ispirano la migliore letteratura, la poesia e la narrativa, colorano le pareti di palazzi e cappelle rinascimentali, le vetrate delle cattedrali e delle sale comunali, le gallerie e le collezioni d’arte. Non vi è chiesa o duomo, non soltanto nella Bassa Padana da cui è partito il mio viaggio, dove la furia distruttiva non sia collocata accanto all’epica di un salvataggio.
Penso alle vedute agresti di un paesaggista ottocentesco come Alessandro Fontanesi o del nipote Giovanni: le nubi che avvolgono la pietra di Bismantova, da molti paragonata al Purgatorio dantesco; i pascoli che vediamo in certi quadri di Antonio Ligabue () sono gli stessi che circondano le baracche del campo di concentramento di Fossoli.
Ben prima che nel 2020 il virus ci colpisse, la piazzetta situata sotto la torre a Modena, il palazzo antico della Partecipanza a Nonantola insieme alle baracche di Fossoli avevano conosciuto il contagio del razzismo fascista, l’occupazione tedesca, le rappresaglie contro i civili e le fucilazioni degli oppositori, i convogli che dalla stazione partivano alla volta di Auschwitz caricando donne, anziani, bambini.
L’alba di Fossoli, che Levi ha immortalato in e in alcune poesie, non è cambiata, pensavo in quella mattina di gennaio 2020, durante il mio ultimo passaggio attraverso ciò che è rimasto in piedi delle baracche del campo:...




