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E-Book, Italienisch, 120 Seiten

Reihe: Cronache

Castellina Siberiana


1. Auflage 2012
ISBN: 978-88-7452-411-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 120 Seiten

Reihe: Cronache

ISBN: 978-88-7452-411-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Sulla linea ferroviaria piú lunga del mondo, che da Mosca arriva al Mar del Giappone, un gruppo di scrittori e giornalisti italiani attraversa la Russia asiatica. In occasione della Fiera del libro di Mosca, la delegazione viene accompagnata attraverso i profondi cambiamenti della Russia, dal centro alle periferie dell'impero, cinque fusi orari e seimila chilometri da Mosca. La convivenza nei vagoni della Transiberiana, affacciati per centinaia di chilometri sui boschi di betulle, trasforma presto gli ospiti in una brigata allegra che colora il viaggio con i toni di un'inattesa gita scolastica. La cronaca di Luciana Castellina ha la ricchezza di uno scavo archeologico - e come quello riserva molte sorprese - attraverso i diversi strati che l'aspra terra siberiana rivela allo sguardo acuto della scrittrice: all'esplorazione di un presente aperto e contraddittorio si sovrappongono la memoria personale di una testimone e la storia di popoli, avvenimenti e personaggi scoperti tra le pieghe del passato. Al ritorno, resta alla viaggiatrice un agrodolce 'mal di Russia' e il 'rovello che ti lascia una società difficile da capire. E infatti, poi, non si smette di cercare'.

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Il treno


Partiamo dalla stazione art nouveau chiamata Jaroslavskaja, una delle tre stazioni moscovite. Si apre su piazza Komsomol’skaja, proprio vicino all’albergo dove alloggiavo durante il mio lungo soggiorno moscovita, nell’inverno del ’61. Era – e scopro che è ancora – l’Hotel Leningradskaja, uno dei grattacieli a pinnacoli dell’era sovietica, la mia finestra per metà oscurata da una grande palla di marmo, al mattino risveglio automatico sulle note dell’inno sovietico.

A Komsomol’skaja plošcad’ andavo spesso a curiosare negli atri delle partenze e degli arrivi ferroviari: il treno per e dalla Siberia, quello per Leningrado (molto piú elegante, chiamato nientemeno che Freccia Rossa), quello diretto a sud. Si diceva allora a Mosca che per capire lo stato del paese bisognava andare proprio lí, dove, accovacciati per terra con enormi ceste, pacchi e animali da cortile, sostavano i tanti venuti nella capitale per tentare qualche piccolo commercio: vendere uova e ortaggi non conferiti allo Stato come previsto dal Piano, e comprare le cose che in provincia non si potevano trovare. Osservando le merci, si capiva, assai meglio che guardando le statistiche ufficiali, lo stato dell’Unione Sovietica.

La stazione è fisicamente molto cambiata, ma il rito di partenza della nostra delegazione è tuttora assai simile a quelli un tempo riservati alle autorità. Ci accoglie un drappello di bambini con palloncini colorati e bandierine italiane e russe, venuto a farci festa e ad accompagnarci al nostro strepitoso vagone speciale: non verde e giallo come gli altri del treno per Vladivostok cui ci agganciano, ma celeste e rosa, attraversato da una grande scritta, “Transiberiana Italia-Russia”. (In un angolo in basso, la sigla dei nostri due sponsor, il segno piú visibile che ora siamo in Russia e non piú in Urss: le Ferrovie Federali e Banca Intesa).

Ad accoglierci c’è anche il capostazione, sul binario la prima delle tante orchestrine di ferrovieri in uniforme blu e gialla che ci saluteranno in tutte le stazioni.

Salire su un treno che ha per meta finale una città che si affaccia sul Pacifico, proprio di fronte al Giappone, fa un po’ impressione. Impossibile non riandare con la memoria ai tanti treni e alle tante diligenze a slitta di cui è affollata la letteratura russa che abbiamo piú amato. Solo che ora non c’è l’eterna neve che nella memoria si accoppia fatalmente all’immagine della Russia: fa un gran caldo, sebbene sia settembre avanzato.

Noi dieci non ci conosciamo che per nome, io sono amica del solo Angelo Guglielmi, mitico inventore di Rai Tre alla fine degli anni ’70 e fra i fondatori dell’avanguardia letteraria del Gruppo 63. Gli altri non li ho mai visti, e cosí pare sia anche per loro. Vivere in uno stesso vagone per due settimane, a due a due negli stretti scompartimenti dove dormiremo una sera sí e una no, alternandoli con gli alberghi delle città in cui dovremo sostare, ci avrebbe potuto indurre a spararci l’un l’altro per il fastidio di una convivenza totale e forzata. E invece no, ci va alla grande, ci scopriamo reciprocamente simpatici e alla fine del viaggio avremo le lacrime agli occhi nel lasciarci. In poco tempo sembriamo la III B in gita scolastica.

Sul treno ci accoglie la provodnitsa, una figura che esiste solo in questo paese: non è un capotreno, casomai potrebbe essere un capovagone, dato che ce n’è una in ogni carrozza, ma non fa la ferroviera, sebbene porti l’uniforme della categoria, perché il suo compito principale è tener acceso il samovar, consegnarci i bicchieri rivestiti di metallo per prendere il tè (disponibile a ogni ora del giorno e della notte), rifare i letti, insomma accudirci. Il nostro angelo custode è di mezza età, bionda, molto trucco, felice di accompagnare degli italiani. Visto il nostro rango, ha anche un’aiutante, con cui si alterna. Alla fine del viaggio – che lei, a differenza nostra, al ritorno compirà nuovamente in treno – sa già parecchie parole della nostra lingua e ne è assai fiera.

Ci assegniamo gli scompartimenti un po’ intimiditi dall’improvvisa familiarità che la condivisione delle cabine ci impone (sebbene non ci conosciamo) e dall’imbarazzo per gli accoppiamenti. Nessun problema per me e Marina Giaveri, docente di Letteratura comparata all’Università di Torino: siamo le uniche due donne. Ma tra gli altri, chi va con chi? Alla fine Andrea Kerbaker, scrittore e organizzatore di eventi culturali, milanese nonostante il nome, starà con Mario Santagostini che invece è un poeta, lungo e magro, il solo che ha con sé un indumento insolito per il luogo, una vestaglia elegante, che gli fa guadagnare il titolo di “conte Mascetti” (il celebre personaggio interpretato da Ugo Tognazzi). Sono nostri vicini di cabina e, con loro, io e Marina stabiliamo un legame speciale. Piú in là c’è il “ragazzo” Simone Caltabellota, solo quarant’anni, dieci-quindici in meno della fascia intermedia, un bambino per i due ottantenni, io e Angelo Guglielmi. Simone fa coppia con Antonio Gnoli, cui le nostre interpreti Ol’ga e Svetlana, alle quali abbiamo chiesto, l’ultimo giorno del viaggio, di attribuire a ognuno di noi un nomignolo indicativo della personalità, hanno affibbiato l’appellativo “laconico”. Pare azzeccato, perché Gnoli, raffinato collaboratore delle pagine culturali di Repubblica, sembra scostante e indisponibile alle chiacchiere. Scoprirò che non è affatto cosí, ma questo è il solo errore delle nostre interpreti, molto perspicaci nel capire chi siamo. Nell’altra metà del vagone, Roberto Pazzi, scrittore ferrarese (è il solo i cui romanzi siano stati tradotti in Russia), dorme con Guglielmi, e infine l’ex condirettore della Stampa, Luigi La Spina, divide lo scompartimento con il sempre raffreddatissimo Sebastiano Grasso, siciliano-milanese, critico d’arte del Corriere della Sera che, in qualità di presidente del Pen Club Italia, ha messo insieme la delegazione, scovando chi era disponibile a star fuori dal mondo per tre settimane.

Il vagone, staccato a ogni tappa e collocato su un binario morto in attesa di essere riagganciato il giorno successivo a un’altra Transiberiana, diventa presto la nostra casa comune. Vi lasciamo e ritroviamo le nostre cose, e a ogni partenza serale organizziamo festini improvvisati (la vodka, si sa, è il miglior prodotto della Russia vecchia e nuova), e persino cene comuni.

Il treno ha una dimensione domestica, anzi casereccia, non sembra un luogo pubblico. È anche lentissimo, ma il percorso è cosí lungo che nessuno se ne dà pensiero. L’universo delle nostre Tav qui è estraneo. C’è da chiedersi chi mai prenda oggi la Transiberiana, visto che l’aereo offre una colossale convenienza in termini di tempo e non è certo molto piú caro. Lo chiedo, ma le risposte sono vaghe. Pare che trovare posti sulle rotte aeree siberiane sia difficilissimo, e poi molte città lungo il percorso non sono servite. Per di piú, come sarebbe possibile trasportare sui velivoli tutti gli immensi bagagli che ciascuno qui si porta appresso? È un fatto che il treno è affollatissimo, una gran quantità di giovani, vecchi e bambini, categorie che si vedono raramente negli aeroporti. Molti dicono che viaggiare via terra gli piace di piú, giocano a scacchi o a carte, bevono e mangiano in compagnia.

Le stazioni, del resto, sono tutte bellissime, monumentali, piene di mosaici che inneggiano alle glorie della Rivoluzione d’ottobre. Come la metropolitana di Mosca, in omaggio all’idea che il servizio pubblico, simbolo del socialismo, non dev’essere da meno dei monumenti imperiali. Stranamente, quasi ovunque mancano i sottopassaggi e per prendere i treni si attraversano tranquillamente i binari – io con immensa paura. Ma anche il traffico ferroviario è casalingo, nessun capostazione che fischia, nessun divieto, nessun convoglio arrogante che sfreccia e non guarda in faccia nessuno.

Il treno è comodo, soprattutto per noi in prima classe, nella seconda le cuccette sono quattro per scompartimento e se si pensa che sono anche stracolme di viveri, bevande e valigie, si deve stare davvero stretti. In terza classe c’è solo un grande locale comune.

Anche da noi ci sono comunque due soli bagni e occorre fare la fila perché siamo ben diciassette: noi dieci piú Nina Litvinets, la funzionaria del Ministero della Cultura che guida la squadra, Roman Fedorov, un organizzatore, Andrej Zvezdenkov, un fotoreporter, insieme a due interpreti e alle due provodnitsi.

La Transiberiana attuale è lontana dal modellino che nel 1900 lo sfarzoso padiglione russo dell’Esposizione Universale di Parigi aveva orgogliosamente presentato. La nuova meraviglia risultava avere, nei vagoni di prima classe, scompartimenti con arredi in stile Impero, saloni dotati di pianoforte, biblioteche, palestra, bagni in marmo e ottone. E ristorante con caviale e storione.

La realtà non rispettò neppure a quei tempi le promesse e i primi passeggeri della favolosa linea ne uscirono furibondi. Racconta un viaggiatore americano dell’epoca che il cibo era sempre esaurito molto prima di arrivare a destinazione e che il treno doveva fermarsi di continuo per procurarsi un po’ di alimenti.

La difficoltà di nutrirsi è una costante della Transiberiana, dalle origini a oggi. Le nostre cene, come ho scritto, le consumiamo negli scompartimenti, una sorpresa che non ci aspettavamo. All’inizio, quando avevo letto sul programma “cena in carrozza”,...



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