E-Book, Italienisch, 240 Seiten
Reihe: Figure
Campbell Le distese interiori del cosmo
1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-7452-810-3
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
La metafora nel mito e nella religione
E-Book, Italienisch, 240 Seiten
Reihe: Figure
ISBN: 978-88-7452-810-3
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Joseph Campbell (1906-1987) si laureò in Letteratura alla Columbia University e, successivamente, studiò Sanscrito, Filologia indoeuropea e Filosofia a Parigi e a Monaco. Nelle sue ricerche si intersecano storia delle religioni, mitologia comparata, antropologia e psicologia analitica. Noto soprattutto per aver portato la mitologia al grande pubblico, le sue opere sono ormai riconosciute come classici. Tra i lavori tradotti in italiano: Le maschere di Dio (Bompiani, 1962), Il potere del mito (Guanda, 1990), Mito e modernità (Red Edizioni, 2007), L'eroe dai mille volti (Lindau, 2012), Percorsi di felicità (Raffaello Cortina, 2012).
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Introduzione
Il mito e il corpo
Se passiamo in rassegna con occhio scevro da pregiudizi le tradizioni religiose dell’umanità, ci accorgeremo ben presto che alcuni motivi mitici le accomunano tutte, sebbene siano stati poi intesi e sviluppati in modi diversi nelle diverse tradizioni: si pensi, per esempio, alle idee di una vita dopo la morte o di spiriti maligni o protettivi. Adolf Bastian (1826-1905), medico, grande viaggiatore, tra i maggiori etnologi del secolo scorso, l’uomo per cui fu creata la cattedra di Antropologia all’Università di Berlino, definí questi temi e questi caratteri ricorrenti “idee elementari”, , distinguendoli dalle “idee popolari” o “etniche”, , cioè dalle diverse modalità della loro rappresentazione, interpretazione e applicazione alle arti e ai costumi, alle mitologie e alle teologie dei popoli di questo pianeta.
Una tale ricognizione dei due aspetti – universale e locale – attraverso cui ovunque le religioni si sono costituite, chiarisce nel loro complesso le controversie sui valori eterni e temporanei, sulla verità e la falsità, che da sempre impegnano i teologi; inoltre permette di individuare come scienze differenti, sebbene correlate, da un lato gli studi sulle diverse “idee popolari” o “etniche” che sono campo proprio degli storici e degli etnologi e, dall’altro, gli studi sugli che sono propri della psicologia. Molti tra i maggiori psicologi del secolo scorso si sono dedicati all’analisi di questi universali – e tra loro Carl Gustav Jung (1875-1961) mi pare che sia stato il piú perspicace e illuminante. Gli stessi motivi mitici, che Bastian chiamava “idee elementari”, furono da Jung definiti “archetipi dell’inconscio collettivo”; Jung trasferiva cosí l’accento dalla sfera mentale dell’ideazione razionale all’abisso oscuro e subliminale da cui sorgono i sogni.
Miti e sogni, dal suo punto di vista, traggono motivazione da un’unica fonte psicofisiologica, ovvero l’immaginazione umana stimolata dalle contrastanti pulsioni degli organi del corpo (e tra essi il cervello) la cui anatomia non è praticamente mutata dal 40.000 a.C. Di conseguenza, quanto le immagini di un sogno sono metafore della situazione psicologica di chi sogna, tanto le immagini di una mitologia sono metafore dell’atteggiamento psicologico del popolo cui appartengono. La struttura sociologica che si riferisce a questo atteggiamento fu definita dall’africanista Leo Frobenius (1873-1938) una “monade” culturale. Ogni carattere di un tale organismo sociale è, in questo senso, espressivo – e di conseguenza simbolico – dell’atteggiamento psicologico che gli dà forma. Nel , Oswald Spengler (1880-1936) identificava otto colossali monadi e una nona, ancora in formazione, che avevano forgiato e dominato la storia del mondo sin dal sorgere – nel quarto millennio a.C. – delle prime grandi culture dotate di scrittura: 1. la Sumero-Babilonese, 2. l’Egizia, 3. la Greco-Romana (Apollinea), 4. la Vedico-Ariana dell’India, 5. la Cinese, 6. la Maya-Azteco-Incaica, 7. la Magica (Persiano-Araba, Giudaico-Cristiano-Islamica), 8. la Faustiana (dalla Gotico-Cristiana alla moderna Euro-Americana) e ora, nella cornice estranea di una pseudomorfosi culturale marxista, 9. la nascente Russo-Cristiana1.
Molto prima dell’apparizione, fioritura e inevitabile declino di queste monadi monumentali viene riconosciuto comunque un periodo di tempo caratterizzato da società non dotate di scrittura, aborigene – alcune nomadi e cacciatrici, altre stanziali e dedite all’agricoltura; alcune non piú grandi di una dozzina di famiglie collegate tra loro, altre formate da decine di migliaia di famiglie. E ognuna di esse con la sua mitologia: a volte miseramente frammentaria, ma in alcuni casi straordinariamente ricca e di grandiosa complessità. Tutte queste mitologie erano condizionate ovviamente dalla geografia locale e dalle necessità sociali. Le loro immagini derivavano dai paesaggi locali, dalla flora e dalla fauna, dal ricordo di personaggi e di eventi, dalle comuni esperienze visionarie e cosí via. Per di piú i temi narrativi e gli altri elementi mitici passavano da un campo all’altro. Comunque la definizione di “monade” non viene data in funzione del numero e del carattere di tali influenze particolari, ma dell’atteggiamento psicologico del popolo – grande o piccolo – di cui la monade costituisce il tessuto connettivo, nei confronti del suo universo. Lo studio di ogni mitologia dal punto di vista dell’etnologo o dello storico è, quindi, lo studio delle sue metafore e mira a intravedere la struttura e la forza del nucleo monadico di cui è investito ogni elemento di una data civiltà insieme al suo senso spirituale. Attraverso questo studio emergono le forme della sua arte, i suoi strumenti e le sue armi, le forme rituali, gli strumenti musicali, le regole sociali e i comportamenti nei confronti dei popoli confinanti, in pace e in guerra.
Per dirla con Bastian, queste monadi costituiscono i nuclei organizzativi a livello locale delle “idee etniche” o “popolari” nelle singole culture, e rappresentano, come costellazioni che si differenziano in relazione ai bisogni e agli interessi, le energie primarie e gli impulsi delle comuni specie umane: bioenergie che interessano la stessa essenza della vita e che, se lasciate in libertà, diventano terribili, mostruose e distruttive.
La prima, la piú elementare e terribile di tutte, è l’innocente voracità della vita che si ciba di vite: il primo interesse del bambino che si nutre di sua madre. La pace del sonno si frantuma in un incubo in cui compaiono l’orchessa mangiauomini, il gigante cannibale o il coccodrillo che si avvicina, tutti personaggi delle favole. Nelle orge dionisiache, in alcune parti del mondo, il parossismo della frenesia, raggiunto il suo acme, si placa in uno spietato atto comunitario in cui si divorano i tori.
L’immagine mitologica piú eloquente di questa fosca premessa della vita si può scorgere nella stessa figura indú della madre-mondo, Kali, “il Tempo Nero”, che lecca con la sua lunga lingua rossa le esistenze di tutti coloro che vivono in questo mondo di sua creazione. In un suo studio sull’omicidio rituale, Adolf E. Jensen, ex direttore dell’Istituto Frobenius di Francoforte sul Meno, notava che “è caratteristica comune di tutte le vite animali potersi conservare solo a prezzo di distruggere la vita” e citava a questo punto la canzone abissina che celebra le gioie della vita: “Colui che non è ancora stato ucciso, ucciderà. Colei che non ha ancora dato vita, partorirà”2.
La seconda pulsione primaria, legata alla prima fino quasi a identificarsi con essa (come si poteva vedere anche in questo peana abissino), è l’impulso sessuale, generativo, che negli anni in cui si esce dall’infanzia diventa talmente pressante da superare, quando è nella sua stagione culminante, le stesse esigenze dell’impulso alla nutrizione. Perché qui la specie parla. L’individuo viene superato. Nella faretra del dio indú Kama, il cui nome significa “desiderio”, “mancanza”, e che ha il suo corrispettivo in Cupido – anche se non è un bambino, ma uno splendido giovane che emana una fragranza di fiori, scuro e imponente come un elefante arso da un desiderio veemente – ci sono cinque frecce fiorite che egli può lanciare con il suo arco anch’esso fiorito e i cui nomi sono: “Apriti!”, “Animatore del desiderio parossistico”, “Colui che infiamma”, “Colui che fa bruciare” e “Il corriere della morte”. Da ogni punto del globo arrivano notizie di orge in cui sono coinvolte intere comunità rese ebbre dall’ardore provocato in loro dalle frecce di questo dio.
Una terza motivazione, che sulla scena della storia del mondo è stata l’unica generatrice d’azione – almeno a partire da Sargon I di Akkad nella Mesopotamia Meridionale intorno al 2300 a.C. – è l’impulso, apparentemente irresistibile, al saccheggio. Psicologicamente esso potrebbe forse essere interpretato come un’estensione del comando bioenergetico al nutrimento e al consumo; tuttavia la motivazione in questo caso non fa parte di alcuna esigenza primaria, ma proviene da un impulso lanciato attraverso gli occhi, non a consumare ma a possedere. A questo proposito, la Bibbia costituisce certamente un’ampia antologia, immediatamente disponibile, di testi esemplari. Per esempio:
Quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nella terra dove vai per conquistarla, cadranno innanzi a te molte nazioni: gli Hittiti, i Gergesei, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei, i Gebusei, sette nazioni piú numerose e forti di te. Il Signore te le metterà davanti; tu le batterai e le voterai all’anatema. Non stringerai nessun patto con esse, né avrai misericordia di loro. Con esse non contrarrai matrimonio, non darai tua figlia a un loro figlio, né prenderai una loro figlia per tuo figlio. Poiché tuo figlio si allontanerebbe da me e servirebbe altri dèi, e l’ira del Signore si accenderebbe contro di voi e vi sterminerebbe presto. Voi invece agirete cosí: demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri e brucerete i loro idoli nel fuoco. Perché tu sei un popolo santo per il Signore tuo Dio; il Signore tuo Dio ti ha scelto affinché sia un popolo particolarmente suo fra tutti i popoli che sono sulla faccia della Terra. (Dt 7, 1-6)
Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, le proporrai la pace. Se accetta la pace e ti aprirà le porte, allora tutto il popolo che vi si trova lavorerà per te e ti servirà. Se invece non accetta la pace con te e...