Brokken | Anime baltiche | E-Book | sack.de
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E-Book, Italienisch, 454 Seiten

Brokken Anime baltiche


1. Auflage 2014
ISBN: 978-88-7091-390-3
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 454 Seiten

ISBN: 978-88-7091-390-3
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Mark Rothko, Hannah Arendt, Romain Gary, Gidon Kremer. C'è un legame sotterraneo tra alcuni grandi nomi della cultura mondiale: i paesi baltici dove sono nati e la cui anima li ha accompagnati nella fuga oltre confine. È sulle tracce di quest'anima che Jan Brokken attraversa Lettonia, Lituania ed Estonia ricostruendo le vite straordinarie di personaggi celebri e persone comuni, per riscoprire la vitalità di una terra da sempre invasa e contesa, dove la violenza della Storia è stata combattuta con l'arte, la poesia e la musica. Tra i palazzi Jugendstil di Riga e le mura di Tallinn, tra i vicoli ebraici di Vilnius, i castelli della Curlandia e la Königsberg di Kant, oggi Kaliningrad, rivivono i film di ?jzen?tejn, che si unì ai bolscevichi contro il padre zarista per ritrovarsi come lui chiuso in un'ossessione di grandezza; le mille vite di Romain Gary, che nella letteratura trovò rifugio dai campi nazisti senza mai riuscire a perdonarsi di essere un sopravvissuto; quella frattura che attraversa tutte le tele di Rothko, strappato dai rossi tramonti della sua Daugavpils; ma anche la Rivoluzione cantata della giovane Loreta contro i carri armati sovietici, o la segreta diaspora dei baroni baltici, tra cui la moglie di Tomasi di Lampedusa, prima psicanalista donna in Italia. Passato e presente si richiamano come in una sinfonia in cui ogni dettaglio racconta una passione, un'illusione infranta, o una profonda nostalgia. Viaggio in un cruciale ma dimenticato pezzo d'Europa, Anime baltiche lascia il segno di un grande romanzo per capire il XX secolo, perché 'viaggiare, insieme a leggere e ascoltare, è la via più breve per arrivare a se stessi'.

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1.


ORGOGLIO


La figlia di Jakobson


Al largo i marinai erano un’ottima compagnia. Dal Dollart al Sund mi ero goduto i racconti di tempeste e naufragi con cui Huig, Melle e Aristides condivano i pasti, ma sulla terraferma mi sembrarono tipi un po’ rozzi.

Avremmo dovuto raggiungere Oulu, il porto più a nord della Finlandia, per portare sale e caricare pasta di legno. Ma vedendo la stiva, il noleggiatore cambiò idea: era troppo sporca per trasportare sale da cucina.

Dopo ventiquattr’ore di attesa al porto di Emden, il cabotiero si vide assegnare un’altra destinazione: Pärnu, in Estonia. Conoscevo il paese solo di nome, per via di quell’elenco imparato a scuola: Estonia, Lettonia e Lituania. Una filastrocca impossibile da dimenticare.

Aristides, il cuoco di Capoverde che da una vita navigava al Nord per conto di armatori olandesi, era già stato una volta in Estonia, quando il paese faceva ancora parte dell’impero sovietico. All’ultimo momento tre poliziotte erano venute a piantonare la nave, una alla passerella e le altre due vicino alle cime d’ormeggio. Le tre virago russe si erano fatte portare una seggiola e avevano gridato in olandese: “Cuciniere, mangiare!” Ricevettero di che sfamarsi. Dopodiché gridarono: “Cuciniere, scopare!” Sapevano queste frasi in tutte le lingue.

Quattro giorni dopo avvistammo le coste della Curlandia. Le dune erano talmente bianche che le scambiai per scogli di gesso. Più a est la spiaggia si allungava come una larga striscia di luce accecante.

Sotto la punta dell’isola di Saaremaa la nave imboccò lo stretto che dà accesso al golfo di Riga. Boschi di conifere si profilarono all’orizzonte, infiammati dagli ultimi raggi del sole.

Il capitano, vecchio e prudente, mise Huig, Melle e me di vedetta. Secondo Huig era arteriosclerotico: erano secoli che nessun capitano gli ordinava più di scrutare il mare a occhio nudo. Dalla scoperta delle onde radio, ci si affidava al radar. Ma il capitano aveva visto sulla carta nautica così tanti punti esclamativi che non si sentiva affatto a suo agio. Il golfo di Riga era un campo minato. I sovietici avevano piazzato le mine quando le acque del golfo erano ancora vietate alle navi straniere, e lì erano rimaste.

(1) L’equipaggio del in mare aperto. A destra: Huig in conversazione con l’autore

Mi sporsi con Huig dal parapetto del ponte di prua.

“Come se nel crepuscolo si potessero vedere le mine”, borbottò con il suo mozzicone di sigaretta rollata all’angolo della bocca.

“Com’è fatta una mina?” chiesi.

“Tonda e nera.”

Il mare era dello stesso nero, e la carta riportava un secondo pericolo: acque contaminate da sostanze chimiche, divieto di balneazione. I russi avevano ridotto la zona in un bello stato!

La nave avanzava al rallentatore. Non vibrava né beccheggiava, scivolava sull’acqua come una barca a vela. L’aria odorava di terra e di pini. La costa continuava a essere formata da due strisce: una chiara, la sabbia, e una scura, i boschi. Nessun faro, nemmeno un puntino luminoso. Sembrava di penetrare in un mondo segreto.

Huig era stato a Riga una dozzina di anni prima. All’epoca tutte le navi straniere erano scortate da due pattugliatori della marina sovietica. Navigavano a neanche un miglio di distanza, i fari costantemente puntati sulla nave.

“Quando camminavi sul ponte non osavi nemmeno grattarti il culo. Non si poteva mai sapere, magari pensavano che volevi sparare.”

Dalla scomparsa dell’Unione Sovietica, il golfo di Riga è aperto alle navi di tutte le nazionalità. Eppure Huig vide avvicinarsi una barca che evidentemente voleva sbarrarci la strada, “se non mi sono andati a puttane gli occhi”. Dalla foschia della sera emerse un pattugliatore della guardia costiera lettone.

I lettoni non avevano creduto a quello che il timoniere della nostra nave aveva comunicato via radio: che eravamo vuoti e diretti in Estonia. Ma quando videro il alto sulla superficie dell’acqua, senza neanche un grammo di carico nella stiva, ci fecero segno che era tutto a posto.

(2) Golfo di Riga, a bordo del

La luna era appena spuntata quando la nave pilota ci affiancò. Huig e io avevamo terminato la nostra missione, il pilota sapeva di sicuro dov’erano le mine. Poco dopo mezzanotte la nave entrò nel porto di Pärnu e ormeggiò a una piccola banchina, proprio di fronte alla città. Eravamo gli unici nel porto.

Nel cuore della notte venni buttato giù dal letto dal primo timoniere. La polizia di frontiera voleva controllare se la mia faccia corrispondeva alla foto sul mio passaporto. Mi vestii e andai nella cabina del capitano. Trovai tre musi lunghi che mi fissavano. I poliziotti avevano chiesto delle stecche di sigarette e il capitano li aveva coperti d’insulti. “Che stronzo”, borbottò il primo timoniere, “se non avesse voluto fare a tutti i costi il calvinista, a quest’ora ce ne staremmo a ronfare in cuccetta.”

Fummo costretti a presentarci uno alla volta ai doganieri. Il mio interrogatorio fu il più lungo; delle nove persone a bordo ero l’unico passeggero.

“Che cosa ci fa su questa nave?” mi chiese in inglese uno dei doganieri.

“Volevo vedere il mar Baltico”, risposi assonnato.

“Perché, cos’ha di speciale?”

“Secondo i marinai è il più bello di tutti.”

“Mai notato.”

“È la luce a essere speciale. Morbida e calda.”

“La luce?” gli uomini si scambiarono un’occhiata.

“In autunno si infiamma.”

“E lei cosa fa di lavoro?”

“Lo scrittore.”

“Ah!”

Un pazzo, ma non pericoloso.

Mi sembrò di cogliere una punta di sarcasmo nel modo in cui mi timbrò il passaporto.

La mattina dopo, lunedì, scesi a terra. Le case di Pärnu, quando non erano coperte di impalcature, erano appena state dipinte di giallo, di rosso, di grigio chiaro o di azzurro. Per strada si respirava odore di attivismo. Tra un quartiere e l’altro si stendevano parchi; il più grande arrivava fino alla spiaggia. Rimasi colpito dalle donne: avevano tutte il naso all’insù e le gambe che parevano coi trampoli.

Le case ricordavano la Finlandia e la chiesa più rilevante era russo-ortodossa. Le donne sotto il porticato, alle quali si doveva pagare l’ingresso, avevano un foulard in testa, un golf e calzettoni di lana. Erano contadine. Comprai tre cartoline e la più vecchia tirò fuori dalla tasca una calcolatrice elettronica. La maneggiava con la disinvoltura di un ragazzino il computer.

Sulla spiaggia, la stazione termale mi riportò ad atmosfere germaniche. Aveva l’eleganza degli hotel di Baden-Baden di fine Ottocento e vi si percepiva l’eco di passati splendori, pur se spenti da poco. Fino agli ultimi anni Ottanta ci venivano i funzionari sovietici per rimettersi in forze, e i fumatori più incalliti giuravano sui poteri taumaturgici dell’aria pura del Baltico.

(3) Casa a Pärnu, Estonia

Dopo aver camminato per ore in città, chiesi a un tassista di portarmi a fare un giro nei dintorni.

Si diresse a est attraversando distese di boschi. Nessun villaggio, nemmeno una costruzione.

Durante il tragitto il tassista estone mi rivolse solo due parole: “Welcome” e “Jakobson”. Dopo quaranta chilometri lasciò la strada principale e imboccò un sentiero. Vicino a un mulino ad acqua scendemmo dall’auto ed entrammo in una tenuta. C’era un silenzio perfetto che faceva pensare che il cielo fosse tappezzato di velluto. L’Estonia ha le stesse dimensioni dei Paesi Bassi ma ci vive un decimo della popolazione. Forse era per quello che il cinguettio degli uccelli sembrava meno rumoroso.

L’autista suonò alla porta di una grande casa di legno. Venne ad aprire una giovane donna: naso all’insù, gambe lunghissime. Mi condusse nelle stanze che a metà del XIX secolo, all’epoca degli zar, erano abitate da un certo Carl Robert Jakobson. Una specie di Tolstoj, a quanto mi parve di capire. Un grande proprietario terriero con una tenuta di ottantacinque ettari, che si preoccupava della sorte dei contadini poveri. Sostenitore di drastiche riforme agrarie, scrittore, filosofo, politico, nazionalista e fondatore del primo quotidiano in lingua estone. Morì di tifo nel 1882 all’età di quarantun anni.

Nessuna delle figlie si sposò e la casa fu lasciata in eredità allo Stato. Osservando una foto delle tre sorelle – tre zitelle inacidite – immaginai i campi coperti di neve, l’acqua che ribolliva nel samovar e provai tutta l’apatia di quell’ambiente. Un padre dalla volontà di ferro, la barba incolta, gli occhi che, dietro gli occhialini, guardavano con compassione il mondo miserabile che lo circondava, e tre ragazze che tutti gli...



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