Bolter | Plenitudine digitale | E-Book | sack.de
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E-Book, Italienisch, 361 Seiten

Bolter Plenitudine digitale

Il declino delle culture di e´lite e l'ascesa dei media digitali
1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-3389-200-9
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Il declino delle culture di e´lite e l'ascesa dei media digitali

E-Book, Italienisch, 361 Seiten

ISBN: 978-88-3389-200-9
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



La cultura dei media comprende oggi un universo di forme (siti web, videogiochi, blog, libri, film, programmi televisivi e radiofonici, riviste e molto altro) e una moltitudine di pratiche che includono la creazione, il remix, la condivisione e la critica. Tale molteplicita? e? tanto vasta da non poter essere capita nel suo insieme. In questo libro, Jay David Bolter trova le radici del nostro multiverso mediale in due sviluppi della seconda meta? del ventesimo secolo: il declino dell'arte di e?lite e l'ascesa dei media digitali. Abbiamo smesso di credere, come collettivita?, alla cultura con la C maiuscola. Le gerarchie che classificavano la musica classica come piu? importante del pop, i romanzi letterari come piu? meritevoli dei fumetti, o la televisione e il cinema come poco seri si sono guastate. L'arte precedentemente nota come «alta» trova il suo posto nella pienezza dei media. La cultura elitaria del Novecento ha lasciato il segno, nel nostro panorama mediale, nella forma di quello che Bolter chiama «modernismo popolare». Nel frattempo sono emerse nuove forme di media digitali che hanno amplificato questi cambiamenti. Bolter individua e racconta una serie di dicotomie che caratterizzano la nostra cultura mediale: la catarsi e il flusso, il ritmo continuo dell'esperienza digitale; il remix (alimentato dalle vaste risorse online per il campionamento e il mixaggio) e l'originalita?; la storia (non riproducibile) e la simulazione (ripetibile all'infinito); ancora, i social media e una politica coerente. Uno sguardo acuto e illuminante sui media contemporanei.

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COME SI PUÒ IMPARARE A NON PREOCCUPARSI TROPPO E AD AMARE LA PLENITUDINE DIGITALE


Jay David Bolter non è studioso nuovo ai neologismi. Con ,1 insieme a Richard Grusin, ci ha fornito un concetto fondativo per capire il funzionamento dei media digitali. Il termine è entrato stabilmente non solo nella cassetta degli attrezzi di chi studia i mezzi di comunicazione, ma anche nella Treccani e nel linguaggio giornalistico. Una realtà inedita come quella in cui viviamo necessita di parole nuove, specie se si ha l’ambizione di capirne il funzionamento di insieme, con una vocazione massimalista che è alla base anche di . In questo libro, Bolter intende offrirci nuove categorie concettuali in grado di descrivere la realtà mediale che ci definisce come individui e come società in una cornice che ora accoglie tutte le forze, spesso contrastanti, che la animano. Quella che Bolter insegue è una teoria dell’Universo, una teoria del Tutto mediale, gli interessa stabilire questioni basilari che definiscono la forma e la fisica della cultura e della comunicazione odierne. Arriviamo in questo modo a , un termine arcaico usato per indicare la condizione contemporanea, non proprio un neologismo quanto piuttosto la rigenerazione di un termine il cui spettro rimanda all’idea di pienezza, completezza, perfezione, abbondanza: tutti concetti inclusi nell’originale , che presi singolarmente non riescono, però, a dare piena ragione delle intenzioni di Bolter.

Universo senza gerarchie


Cos’è la plenitudine digitale? Nella definizione che ne fornisce l’autore indica un universo di prodotti (dai social media ai videogiochi, dalla tv al cinema, e così via) e pratiche (la realizzazione di tutti questi prodotti insieme al loro remix, condivisione e critica) tanto vasto e vario che non può essere descritto come un insieme coerente: «La plenitudine accoglie facilmente, anzi ingloba, le forze contraddittorie della cultura alta e popolare, dei vecchi e dei nuovi media, delle opinioni sociali conservatrici e radicali. I media digitali oggi forniscono un ambiente ideale per questa pienezza, per la nostra cultura mediale in cui ci sono molti punti focali ma nessun singolo centro».

È la perdita di senso definitiva della contrapposizione tra (cultura bassa), (cultura alta) e (cultura di massa) introdotta da Dwight MacDonald, conservatore culturale in lotta contro quelle stesse forze creatrici che negli anni Cinquanta stavano plasmando l’attuale plenitudine. Una perdita di senso sancita, per esempio, da affermazioni come quella del rapper Jay-Z quando dichiara, coerentemente al contesto odierno, di essere il nuovo Picasso: un’affermazione talmente pacifica da essere mainstream, quando invece le dichiarazioni programmatiche delle avanguardie novecentesche finivano per essere prese talmente sul serio che non era raro che il pubblico scandalizzato venisse alle mani, come nel caso della di Stravinskij. La parabola delle arti nel modernismo, che a furia di inseguire il Nuovo come un’ossessione hanno finito per abbattere non solo i loro confini interni ma anche quelli esterni, verso le altre arti e le pratiche creative meno nobili, è alla base di quel processo che ha portato alla fine delle culture d’élite.

Dalla musica atonale al free jazz, dal rock al rap, non esiste più una forma che possa dirsi più musica delle altre, nessuna élite che ne difenda lo statuto, ma solo comunità di gusto: «In assenza di un paradigma condiviso le scelte sono diventate necessariamente questioni di gusto e comunità». Le forme più basse non assurgono a danno delle altre, ma le raggiungono appaiandole nel cielo; la luminosità delle arti riconosciute dei secoli passati diventa la luminosità di molte, se non di tutte, nel tempo presente. Nessuno si scandalizza se il design è considerato al pari dell’arte. La plenitudine digitale è un universo in cui le élite culturali sono collassate, frantumate, in un’opera di autodisintegrazione che ha liberato energia sufficiente per dare vita a uno scenario privo di una singola autorità che possa dire cos’è arte e cosa no, dove tutto coesiste senza gerarchie e splende intorno a noi, i cui centri di equilibrio sono molteplici punti sparsi tra tante comunità di gusto e dove nessuno può rivendicare un primato culturale. Oggi tutto è arte, perché arte è diventato sinonimo di creatività. Come siamo arrivati a questo, la lunga strada che ci ha portati fino a qui, è uno dei temi portanti del libro di Bolter.

Linee di faglia


Un altro tema importante è poi il riconoscimento delle forze contradditorie che animano la produzione culturale, sempre partendo dal presupposto che nessun medium e nessuna pratica sono universali. I media di flusso come i videogiochi convivono con quelli narrativi come il cinema e la tv. Spesso si dice che la nostra è una cultura del remix, ed è vero che il nuovo sia incarnato dai media di flusso che usano il remix e si strutturano per loop procedurali, ma senza per questo sostituire le narrazioni forti con un inizio, uno sviluppo e una fine, che invece rimangono. In questo libro, Bolter propone alcune scissioni per orientarci nella plenitudine: quella tra catarsi e flusso, quella tra originalità e remix, quella tra spontaneità e proceduralità (e datificazione), quella tra storia e simulazione.

La datificazione, la proceduralità e la simulazione rappresentano alcune tra le principali linee di faglia della cultura odierna e sono alla base della comunicazione digitale: nei videogiochi, ma anche nei blog e nei social network. La contrapposizione tra catarsi e flusso segna un’altra linea di faglia tanto profonda da oltrepassare i confini di quello che consideriamo intrattenimento, spingendosi fino al regno dell’impegno sociale e della politica. La teoria del Tutto mediale proposta da Bolter ha l’ambizione di rendere espliciti i legami che nella plenitudine digitale uniscono con maggiore forza che in passato, e con conseguenze più esplosive, i media e la politica: «Il collasso della gerarchia nelle arti e nella cultura non costituisce un pericolo per la società. Il pericolo sussiste, invece, nella sfera politica».

Si è sfaldata, ci spiega Bolter, l’idea che a governare debbano essere le élite tecniche e politiche. La comparsa delle fake news e il ruolo dei social nel farle circolare e dare loro forza si lega alla propensione di milioni di elettori a considerare i social media equivalenti ai media istituzionali, ai giornali e alle televisioni. E tutto questo ha avuto un impatto duro su sistemi politici radicati nella catarsi come quelli di Europa e Stati Uniti, dove forze diverse si contrappongono (comunismo, fascismo, liberismo), ma tutte nella convinzione che «una storia ci sia». L’ascesa politica del flusso è una minaccia strutturale per questi paesi. La ferita aperta di Donald Trump, ci dice Bolter, è un effetto e non una causa.

Ricomporre il mosaico


Tra le caratteristiche che definiscono la plenitudine digitale, una delle più rilevanti è la sua abbondanza. Il panorama artistico, culturale, mediale e sociale contemporaneo è molteplice, frammentato, confuso. Nasce dall’accumulo e dalla giustapposizione di tanti contenuti differenti, di testi numerosi e variegati, di numerose forme mediali, di infinite pratiche di produzione e di consumo (o di quanto sta nel mezzo tra questi due poli prima separati). Linguaggi emersi in tempi e modi differenti non si sostituiscono ma si affiancano, si integrano, coesistono in un magma ribollente. È impossibile, avverte Bolter, tenere tutto questo entro un solo sguardo. Ma ciò non vuol dire arrendersi. Innanzitutto, la plenitudine digitale non è un problema da risolvere, magari tornando a una età dell’oro che spesso è solo un’illusione ottica, ma è un dato da accettare, una costante del presente. Poi, i tanti elementi dispersi, slegati devono essere comunque composti in una figura che dia loro senso e valore, che unisca i puntini, che metta insieme le tessere del mosaico. Travolti dal caos, rimane possibile – se non necessario – reagire alla confusione.

Obiettivo di questo libro è così – riconosciuta l’impossibilità di organizzare la complessità, di tenere tutto insieme in modo coerente applicando quadri interpretativi che non reggono alla doppia sfida dei media digitali e della caduta delle gerarchie tradizionali – individuare almeno tendenze e linee guida. O, meglio ancora, disegnare una mappa delle tensioni e opposizioni che attraversano il mondo di oggi. Da un lato, il volume è attraversato da temi ricorrenti, assi contrapposti e sovrapposti. Dall’altro, gli stessi temi, gli stessi assi possono essere applicati al volume per aiutarci a leggerlo e capirlo meglio.

Si pensi al flusso, esperienza dello spettatore e del fruitore e principio estetico contemporaneo che va a superare la finitezza del testo, dell’opera singola e isolata. Ha le sue basi già nella frammentazione delle storie in vari tasselli e puntate, in una serialità del racconto di lunga durata se non infinita, in una ripetizione dei contenuti nello stesso medium e in una loro estendibilità su più media. Sulla scia delle riflessioni di Raymond Williams (cui Bolter fa solo un fugace cenno, preferendo affidarsi agli studi di Mihály Csíkszentmihályi), il flusso nasce dalla tensione tra la confusione inevitabile e un principio di ordine, tra la sequenza e il caos, tra la pianificazione sfuggente e il piacere di perdersi. Un’operazione simile è quella di...



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