Bocchi | Michael Mann | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 428 Seiten

Reihe: Minimum Fax cinema

Bocchi Michael Mann

Creatore di immagini
1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-3389-335-8
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Creatore di immagini

E-Book, Italienisch, 428 Seiten

Reihe: Minimum Fax cinema

ISBN: 978-88-3389-335-8
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Autore capace di muoversi con originalità e inventiva tra cinema e televisione, costruendo una filmografia memorabile da Manhunter - Frammenti di un omicidio a Collateral, da Heat - La sfida a Miami Vice, da L'ultimo dei Mohicani a Nemico pubblico- Public Enemies, Michael Mann è senza dubbio uno dei cineasti fondamentali delle e per la contemporaneità. Il suo cinema, dall'impronta industriale e commerciale (nato e prodotto a Hollywood), ha saputo intercettare via via il nuovo estetico e il moderno tecnologico come pochissimi altri al mondo. A vent'anni dalla prima pubblicazione, torna in libreria uno tra i più importanti saggi sul regista. Ad arricchire questa edizione, le testimonianza in esclusiva di Dante Spinotti, che per Mann è stato direttore della fotografia in sei occasioni, e che in una lunghissima conversazione ha ricostruito la lavorazione dei film, il dietro le quinte, le riprese di scene significative ed emblematiche, come fossero appunti di una schedule di attività, o pagine di sceneggiatura. Smontando il falso mito di un Mann tutto superfici e di un cinema- design, Pier Maria Bocchi ne ripercorre la carriera irripetibile, sottolinea come il suo cinema, sia stato fin da subito concepito per immagini, e muove dalla convinzione che «oggi lo spettatore non possa essere dispensato dal pensare e vedere per immagini, e che pure nelle immagini possa trovarsi una moralità, una visione del mondo, una poetica, un cuore».

Bocchi Michael Mann jetzt bestellen!

Autoren/Hrsg.


Weitere Infos & Material



...VENT’ANNI DOPO
PREFAZIONE ALLA NUOVA EDIZIONE


Questo volume è la versione aggiornata, completamente riveduta e in buona parte riscritta del mio pubblicato dal Castoro Cinema nel 2002 (numero 208 della collana). Quel testo, concepito e redatto sull’onda di un entusiasmo cinefilo tardo-giovanile (avevo poco più di trent’anni), soffriva in larga misura di un piglio apologetico e romantico e di una forma cruda e spesso inelegante. Più di tutto, erano pagine che pretendevano di raccontare il mondo dell’autore con le ambizioni di un completismo e di un assolutismo ideologico un po’ adolescenziali; ambizioni, per giunta, fortemente difese da un critico non propriamente agli inizi (scrivevo già da qualche tempo e avevo già pubblicato alcuni libri) ma ancora fatalmente rudimentale. Il si aggiungeva a un panorama editoriale internazionale decisamente irrilevante riguardo a Mann (gli unici testi monografici allora presenti sul mercato erano due, di Alessandro Borri per Falsopiano, pubblicato nel 2000, e di Mark Steensland per Pocket Essentials, pubblicato in Italia dal Castoro nel 2002), ed era attraversato da una fremente brama – i termini non sono casuali – di riparare a non meglio specificati torti critici e al contempo di pronunciare il verdetto definitivo su un regista che credevo tra i più importanti del cinema contemporaneo e immeritatamente sottostimato dalla teoria (accademica) e dalla stessa critica.

Sono passati quasi vent’anni ed è cambiato praticamente tutto. La collana Il Castoro Cinema non esiste più. Mann ha realizzato altri quattro lungometraggi (il libro si fermava ad ). Le monografie si sono improvvisamente moltiplicate (ma non in Italia). Il mercato dell’home video, di internet e delle piattaforme ha contribuito ad aumentare esponenzialmente il materiale manniano, tra Blu-ray, siti, articoli online, extra, backstage, notizie di prima e di seconda mano, voci più o meno confermate, ecc. Sono cambiate le immagini, come sono cambiate la loro produzione, la loro riproduzione e la loro . Sono cambiati il nostro modo di vedere (la realtà), la nostra attitudine e la nostra alle immagini; è cambiato il mondo ed è profondamente cambiato il sistema che governa e le immagini stesse. È cambiato, insomma, il cinema, e sono cambiati gli spettatori. E, naturalmente, sono cambiato anche io. Come pure sono cambiati i film di Michael Mann, ma a tale proposito mi auguro che le pagine che seguono siano in grado di illustrare tutto con chiarezza. Cionondimeno mi pare inevitabile che questo volume non soltanto si impegni a completare una filmografia (si spera ancora non conclusa), ma sia anche chiamato a fare i conti con uno sguardo retrospettivo mutato, consono agli scenari visuali contemporanei, nel tentativo di evitare per quanto possibile ogni integralismo autorialista fine a se stesso, e nell’idea di dovere prima di ogni altra cosa definire – ove possibile – un tra l’immaginario manniano e la pluralità delle immagini odierne.

Sono ancora persuaso, anche con vent’anni di più, che Michael Mann sia, se non il più importante, senza dubbio uno dei cineasti fondamentali della e per la contemporaneità: le ragioni, nel dettaglio, stanno in questo volume, ma una cosa è sufficientemente evidente, e cioè che il suo cinema, dall’anima industriale e commerciale (Hollywood), ha saputo intercettare via via il e il come pochissimi altri al mondo. Talvolta con tensione suicida (il clamoroso flop di è significativo), ma in piena coerenza ideologica e morale: perché se è vero che gli ultimi film di Mann sono visualmente e concettualmente molto diversi rispetto al passato, la poetica che si situa al fondo del suo universo e l’elaborazione delle immagini in funzione argomentativa (e quindi non esclusivamente sperimentale o avanguardistica) sono rimaste sempre le medesime.

In un mercato così fecondo, è necessario confrontarsi con ciò che in quattro lustri su Mann è stato scritto, pensato, pubblicato, : come poc’anzi rilevato, rispetto al momento della scrittura del Castoro, l’incremento è incalcolabile. L’impressione però è quella di una generica sottovalutazione del Mann più in favore di considerazioni pesantemente tematiche. Riflettere sulle immagini, insomma, specialmente negli studi critici americani, fa ancora paura, o quanto meno è percepito come riduttivo o addirittura superficiale. Tralasciando sia il volume (pubblicato da Taschen) di F.X. Feeney, apprezzabile unicamente per l’eccezionale e insostituibile comparto fotografico, sia il modesto di Vincent M. Gaine, a oggi sono due i principali e più interessanti testi monografici su Mann, entrambi di studiosi statunitensi: di Steven Rybin e di Jonathan Rayner. Ma se quest’ultimo trascura pressoché integralmente qualunque pensiero sull’estetica manniana, concentrandosi sui temi di fondo e i rimandi interni, Rybin al contrario cerca almeno di trovare una corretta proporzione tra immagini e tematiche, talvolta con intuizioni felici. Il solo volume che approfondisce le immagini manniane con perspicacia finalmente moderna è di Niles Schwartz, che però si concentra esclusivamente su e, nell’ultimo capitolo, su : è Schwartz, più di Rybin e di Rayner, a cogliere di Mann la rilevanza contemporanea nel nuovo mercato della produzione delle immagini e il suo intervento, esplicito e diretto, nello scenario della nuova estetica, in cui viviamo e in cui .

Nel road movie documentario (2017), il critico e regista francese Jean-Baptiste Thoret interpella in America personalità dello show business e gente comune su cosa abbiano rappresentato gli anni Sessanta e Settanta americani per il cinema e la società statunitensi, e quanto di tutto ciò che si chiedeva, sognava, sperava, reclamava sia rimasto oggi. Tra i tanti, Thoret intervista anche Mann: che dichiara senza tante cerimonie e in modo inequivocabile di avere sempre detestato gli anni Settanta (per colpa della discomusic e di Donna Summer, in estrema sintesi), e che infine confessa «I’m an exploiter of technology. I don’t like technology for its own sake. I can, but it doesn’t have any place in my filmmaking. I’m always aggressive about what can I exploit of new kinds of technology to serve what I’m trying to do in the film ()». Questo volume su Michael Mann parte da presupposti simili, ovverosia dall’idea di un cinema da sempre concepito prima di tutto per immagini, e di grande valore e influenza per tale motivo. Sono convinto che oggi lo spettatore non possa essere dispensato dal pensare e per immagini, e che pure nelle immagini possa trovarsi una moralità, una visione del mondo, una poetica, un cuore. Anche per cercare di ri-registrare un tiro critico che purtroppo persiste ancora adesso in molti ambienti (penso ai quotidianisti, a ...), quello del Mann tutto superfici e di un cinema-design, una che il regista è stato costretto a indossare fin dagli esordi: come si dimostrerà nel corso del testo, non c’è niente di male a essere un filmmaker designer, anzi, il fatto in sé testimonia di un’aderenza al reale che finalmente rimette in prospettiva l’egemonia della tematica. Tutto ciò non era certamente messo a fuoco nel vecchio Castoro, per chiare ragioni (di età, di studi, di epoca): è invece l’assunto di questa sua versione revisionata, che insiste su un’idea-base, (bene) per capire (meglio) e per , nella convinzione che l’identità (della persona) sia convalidata, temprata e finanche creata proprio dalle immagini. «Do you see?», chiede Dollarhyde a Freddy Lounds, una delle sue vittime in : nel cinema di Mann è proporzione e misura delle cose; è lo sguardo, anche quando condannato a disperdersi nel vuoto, a formare la realtà e il film. L’immagine, nei film di Michael Mann, è vita.

Per una sorta di rispetto autobiografico, ho creduto giusto mantenere del Castoro la forma: gli accenni iniziali sulla vita del regista e le sue prime esperienze artistiche, la premessa argomentativa e infine la scansione filmografica a capitoli. D’accordo con l’editore si è invece deciso di non ripubblicare la decina di pagine dedicate all’intervista che feci a Mann il 16 febbraio 2002, a Los Angeles, negli uffici della sua casa di produzione Forward Pass, e che apriva il vecchio testo con il titolo «In completa libertà»: si trattava di una conversazione svoltasi in condizioni non ottimali e con poca preparazione, e che perciò non lascia nessun rimpianto. Sono al contrario estremamente orgoglioso del dialogo intrattenuto a distanza (via Skype) con Dante Spinotti, che per Mann è stato direttore della fotografia in sei occasioni: il lunghissimo colloquio, ricco di dettagli e di aneddoti, avvenuto il 30 gennaio, il 15 febbraio e il 2 marzo 2021, mi ha fatto...



Ihre Fragen, Wünsche oder Anmerkungen
Vorname*
Nachname*
Ihre E-Mail-Adresse*
Kundennr.
Ihre Nachricht*
Lediglich mit * gekennzeichnete Felder sind Pflichtfelder.
Wenn Sie die im Kontaktformular eingegebenen Daten durch Klick auf den nachfolgenden Button übersenden, erklären Sie sich damit einverstanden, dass wir Ihr Angaben für die Beantwortung Ihrer Anfrage verwenden. Selbstverständlich werden Ihre Daten vertraulich behandelt und nicht an Dritte weitergegeben. Sie können der Verwendung Ihrer Daten jederzeit widersprechen. Das Datenhandling bei Sack Fachmedien erklären wir Ihnen in unserer Datenschutzerklärung.