E-Book, Italienisch, 290 Seiten
Reihe: Figure
Barone Benares
1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-7452-755-7
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Atlante del XXI secolo
E-Book, Italienisch, 290 Seiten
Reihe: Figure
ISBN: 978-88-7452-755-7
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Come tutti i luoghi speciali, Benares possiede un incanto e un magnetismo impareggiabili, per i quali è nota sin dalla notte dei tempi e ancora oggi è ammirata e ricercata. Famosa per i suoi palazzi che si specchiano nel Gange, per le scalinate in pietra che discendono fin nel fiume, per le pire funerarie a cielo aperto, è il centro spirituale dell'Oriente, la città di Shiva e quella in cui il Buddha pronunciò le quattro nobili verità, il fulcro di secoli di dominazione araba e inglese dove oggi si trovano a convivere hindu e musulmani, cristiani e jainisti, buddhisti e sikh in un crogiolo di templi e moschee, stupa e chiese. Se è vero che solo a Benares si raccolgono i residui, le cose quando non sono più le stesse di sempre, allora il viaggiatore odierno non ha scelta: se la sua meta è il mondo intero, non può che recarsi a Benares, che tutto il mondo raccoglie. L'Atlante di Paulo Barone ha bisogno, per dispiegarsi, di mappe e figure perché per descrivere Benares non basta il linguaggio concettuale: abbiamo bisogno di immagini, ritratti sensibili dell'invisibile.
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Capitolo 2
Il viaggio a Benares
“La terra è rossa, il sole giallo, il cielo azzurro e il mare blu”. Filastrocche come questa, mandate a memoria nella prima infanzia, creavano delle corrispondenze – delle immagini – che sarebbero rimaste indissolubili per il resto della vita. Per quanto l’esperienza successiva le svelasse via via rudimentali e tutt’altro che precise, a un certo punto capitava sempre di scoprire con sorpresa che le cose stavano proprio cosí, che nessun blu di quelli incontrati in seguito era blu come quello del mare blu, che il giallo autentico era soltanto il giallo del sole, e se per caso al tramonto si tingeva di rosso voleva dire che anche la terra – chissà come – stava senz’altro partecipando al suo declino quotidiano. In questi casi l’impressione era di non essersi mai mossi dal luogo di partenza: il tempo intercorso nel mentre non faceva che misurarne l’estensione.
Rievocazioni del genere, a Benares, non sono affatto rare. A chi vi giunge per la prima volta potrà anzi capitare di sperimentarne molte altre, tra le piú varie, e di sentirsi persino smarrito, sopraffatto da lontane e improvvise associazioni tra parole e colori, parole e luci, stagioni e suoni, luoghi e profumi: una tavola a cascata di immagini, una parata di collegamenti appresi in tempi remoti che hanno formato il suo gusto e condizionano ancora la sua sensibilità, a cui non aveva mai fatto caso in precedenza. Il senso di sconcerto che egli prova è piú che giustificato. In quei momenti è come se prendesse visione – con la coda dell’occhio – di tutte le stazioni principali di quel giro d’incontri segreti che egli compí senza avvedersene e al cui interno si condensa l’essenza della propria intera vita. Ecco perché l’affiorare improvviso delle associazioni originarie non è un inconveniente o un impedimento, come può sembrare. Superato, con un po’ di fortuna, lo smarrimento iniziale ci si accorgerà che, per quanto banali e poco originali, esse rappresentano la via d’accesso piú intima e sicura alla città. Sebbene non si possa dimostrare, si può esser certi che sia proprio Benares a stimolarne la comparsa.
Benares è infatti la capitale di ogni possibile corrispondenza. Essa stessa, ancora oggi, vive – e tutt’oggi si offre ai suoi visitatori – sotto i riflessi di un’associazione ancora piú stringente di quelle della nostra infanzia: come per noi il blu è stato, e rimarrà sempre, sinonimo di mare, qui Benares è, e sarà sempre, sinonimo di Siva, anzi è Siva, per definizione. Non ci si dovrà sorprendere perciò se, mentre si sta esplorando un quartiere della città, ci si ritrova ad ascoltare episodi, avventure, segni e tratti distintivi che riguardano la figura della divinità. Chi si reca a Benares scoprirà che non è possibile disgiungerle, perché Benares è la città elettiva di Siva, un’elezione non priva di conseguenze sul carattere del luogo.
2.1 Il segno di riconoscimento di Siva
Nebbia, fumo, sole, vento, fuoco, lucciole, lampi, cristallo, luna: ecco le apparizioni che preannunciano nello yoga la manifestazione del brahman.
Svetasvatara Upani?ad, II, 11
Nel pantheon hindu quella di Siva è una figura controversa, dal profilo sfuggente. In un noto episodio mitologico, Dak?a, il piú importante dei patriarchi, figlio di Brahma e padre di Sati, decise di celebrare sulle pendici himalayane un grande sacrificio, invitando gli dei al completo, i saggi e ogni essere celeste. L’invito fu esteso a tutti tranne che a Siva (e a Sati, perché gli era andata in moglie). I motivi che Dak?a addusse a sostegno della sua scelta sono al tempo stesso un ritratto della natura inclassificabile di Siva. In fondo chi è Siva – si domandava Dak?a1. Nessuno ne conosce il luogo di nascita, la stirpe, la famiglia, i mezzi di sostentamento, la condotta di vita. Non poteva essere definito un sa?nyasin, un asceta errante, dal momento che portava con sé un’arma. Non un g?hastha, un capofamiglia, visto che viveva presso i campi di cremazione. Non un brahmacarin, uno studente che fa voto di celibato, poiché era sposato. Non un vanaprastha, uno che si è spogliato di tutto e si è ritirato nella foresta, poiché era invaso dall’ebbrezza di essere il signore supremo. Siva, in altri termini, non trova posto tra le quattro figure che scandiscono in successione la vita religiosa hindu. Al contempo, non compare nemmeno tra le quattro caste principali che ne colorano l’organizzazione sociale: non poteva essere un appartenente alla casta sacerdotale dei brahma?a, dal momento che i Veda non lo conoscono. Viste le armi che reca con sé, poteva sembrare uno k?atriya, ma uno che appartiene alla casta dei nobili guerrieri difende gli altri dai mali e dai danni e non si rallegra, come invece fa lui, per la distruzione (pralaya) del mondo. Non era un vaisya (casta dei mercanti e degli agricoltori), perché è privo di ogni bene materiale, non uno sudra, un servo, visto che al collo esibisce come collana sacra un naga, un serpente. Nemmeno è identificabile per sesso, per età, per genere o per specie. Siva si confonde, Siva si nasconde, Siva “non appartiene a nessuno”2. Mentre, infatti, “ogni cosa è conosciuta per mezzo della Natura (prak?ti) da cui proviene (e a cui ritorna), Siva, l’immobile, è privo di Natura”3. Chi è dunque Siva?
L’aura ambigua e il fascino sinistro che lo accompagnano dipendono anche dalla sua origine misteriosa. La figura storica emerge, infatti, da un retroterra remoto e oscuro, forse persino estraneo ai Veda, in cui compare sotto l’epiteto di Rudra, l’Urlante, che ne indica l’aspetto minaccioso e temibile; stabilizza poi i tratti della sua identità nella Svetasvatara Upani?ad, dove Rudra, il tremendo, e Siva, il benigno, il protettore, il risanatore, sono intercambiabili; completa infine il suo profilo enigmatico e complesso solo all’epoca dei racconti pura?ici, dove Siva è ormai elevato a fondamento di tutta la realtà, ponendosi in una dimensione che trascende e ingloba – oltre alle altre divinità – anche se stesso4. E tuttavia, per quanto nel tempo la figura si consolidi e si strutturi, Siva conserva il carattere ruvido, estraneo, isolato delle origini. I luoghi e i ruoli che si dice gli siano congeniali esprimono con chiarezza questo suo costante tratto non addomesticabile. A differenza degli altri dei vedici – per esempio – egli riceve i sacrifici al di fuori dei centri abitati, in disparte. Risiede sul Kailasa, tra le montagne dell’Himalaya, di cui predilige le numerose caverne e grotte, dove è solito ritirarsi in completa solitudine cosicché, “mentre tutti gli altri dei sono adorati rivolgendosi verso oriente”, Siva è il solo che “venuto da nord” sia venerato “in quella direzione”5. Ama sostare nei cimiteri e nei campi di cremazione, tra gli sciacalli e gli avvoltoi, il sangue e i corpi in disfacimento, definiti “i luoghi piú puri che lui abbia mai trovato”6. Se gli spazi che Siva occupa di norma sono posti ai margini di quelli consueti, i ruoli che egli interpreta sono altrettanto periferici. A volte è descritto con l’aspetto feroce e indomabile del cacciatore selvaggio; altre volte è avvolto da un’aria inquietante, mentre vaga in compagnia di assassini, ladri e rapinatori; altre ancora appare come un asceta errante, nudo, cosparso della cenere della cremazione dei cadaveri, oppure ricoperto da pelli di animali o da serpenti; altre volte si aggira come un mendicante, un reietto, oppure come un folle, un invasato in preda al delirio.
Siva è di casa nelle circostanze limite della vita, nei punti in cui la trama ordinaria delle cose si allenta e sta per cedere, lí dove l’ordine con cui sono ripartite si confonde.
Tra le immagini piú note di Siva c’è quella che lo raffigura come Na?araja, il Signore della danza. Siva vi compare con quattro mani. A destra una delle mani regge un tamburo, mentre l’altra ha il palmo aperto e fa il gesto che libera dalla paura. A sinistra una delle mani porta il fuoco mentre l’altra indica la gamba sinistra che egli tiene sollevata. Il piede della gamba destra invece è ben piantato per terra e schiaccia un demone che ha l’aspetto di un nano. Le posizioni delle mani e delle gambe indicano le cinque attività principali di Siva. La danza che ne scaturisce mostra e riunisce queste attività tutte insieme: con il suono del tamburo Siva porta le cose del mondo all’esistenza – compresi i loro pensieri e le loro menti; con la mano aperta le conserva, con il fuoco le distrugge, con il piede sollevato concede loro la grazia della liberazione, con quello fermo schiaccia il demone dell’ignoranza che le avvolge7. Ogni posizione degli arti una figura del mondo, ogni figura un intervento di Siva, ogni intervento...