E-Book, Italienisch, 301 Seiten
Reihe: Minimum classics
Bacchelli Il figlio di Stalin
1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-3389-363-1
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 301 Seiten
Reihe: Minimum classics
ISBN: 978-88-3389-363-1
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Estate 1941. Un soldato viene catturato durante l'avanzata dell'esercito nazista in Unione Sovietica, insieme a un compagno d'armi. È un capitano di fanteria. Viene assegnato a un campo della Prussia orientale che accoglie slavi, tartari, mongoli, caucasici e, soprattutto, militari russi. All'ufficiale tedesco che lo interroga dichiara le proprie generalità: Jacob Giugashvili. Un nome da aggiungere ai meticolosi verbali di internamento e decesso. Non vorrebbe aggiungere altro, ma una piccola foto della madre lo rivela. Dietro vi è una scritta, e la firma del padre: nientemeno che Stalin in persona. Sulla base di fonti incerte (diceria di guerra o verità?), nel 1953 Riccardo Bacchelli cercò di riordinare in un romanzo i pezzi di questa singolare vicenda come se fossero le tessere di un enigma. Tra diffidenze e sospetti, servizi investigativi messi in burla, dottori che praticano esperimenti scientifici su cavie umane e persino una baronessa disposta a sedurre il misterioso prigioniero per convertirlo al nazismo, la storia di un uomo che avrebbe voluto essere dimenticato, uscire dalla Storia così come era uscito dal Cremlino. Un disperato, anarchico, forse nichilista, tentativo di distinguersi da ogni vincolo con il potere, con la famiglia, con l'identità.
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Il tempo è simile all’andare del fiume Profilo bio-bibliografico
La principale immagine che si può accostare alla parabola letteraria di Riccardo Bacchelli è quella del fiume. «Fluviale» e «torrenziale» fu definito, e spesso con valore detrattivo, il suo stile, fatto di esondazioni e sconfinamenti. Improsciugabile, per tutta la vita, la sorgente della sua ispirazione. Con l’espressione , inoltre, Bacchelli raccolse le sue riflessioni, discorsi e saggi storici, e un fiume appare anche nel titolo della sua opera più famosa, la saga familiare (che si apre e si chiude però tra altri due corsi d’acqua: il Vop russo, nel 1812, dove, nel primo stendhaliano capitolo, durante la ritirata napoleonica dalla Russia, il giovane patriarca Lazzaro Scacerni riceverà da un capitano ferrarese moribondo una carta con le indicazioni su come recuperare un tesoro rubato in convento, frutto di sacrilegio e di profanazione, ma che gli consentirà, al ritorno in patria, la costruzione del mulino fluviale del San Michele e l’avvio dell’attività di mugnaio; e il Piave, sulle cui sponde, alla fine della battaglia, morirà l’ultimo Lazzaro della dinastia, il pronipote, nel 1918).
Il fiume, oltre a indicare un paesaggio che Bacchelli conosceva bene, quello emiliano, è anche un simbolo evidente del tempo che scorre. Il tempo è stato uno dei grandi temi del Novecento. È soprattutto con il tempo che, lo scorso secolo, la letteratura ha fatto i conti, da Proust a Kafka a Garcia Márquez, misurandosi con l’indifferenza della storia, con le sue piene, con la sua inafferrabilità. Anche Bacchelli, il prototipo del letterato umanista antimodernista e di formazione cattolica, venuto su in un ambiente borghese e colto, infarcito di ideali risorgimentali e mazziniani, cresciuto nella prosa d’arte e nel clima delle riviste, non poté fare a meno di sentire tutta l’inquietudine di queste domande, ma provò a risolverla tentando di gettare un ponte disperato con la tradizione. È tra i pochi a percorrere senza tentennamenti la strada, inattuale, del romanzo storico. Eppure, nella sua radicale fiducia nella forma-romanzo e nella centralità del personaggio, finirà per saggiarne e riattualizzarne le risorse, sia tecniche che di contenuto, approcciandosi comunque da un altro lato del tavolo, quello più antico, ottocentesco e pre-ottocentesco, a un più largo orizzonte europeo e di storia universale.
I modelli saranno presto dichiarati: Manzoni, il Manzoni dei ma anche della ; Ippolito Nievo; e poi Gogol’, Tolstoj, Thomas Mann. Ma anche Ariosto, Leopardi, Goethe, Thackeray e Voltaire, Swift, Diderot. Vuole scrivere romanzi storici, non storie romanzesche, come afferma nella premessa alla seconda edizione del : «Perché la storia non è quella faccenda liscia e semplice e piattamente scientifica che s’immaginavano i filosofi positivisti della cui scuola fu Bakùnin; e la verità storica non si sa mai da qual investimento può uscire».1 Alla complessità della Storia, oppone gli strumenti del rigore documentario e l’esercizio di un realismo linguistico sempre più consapevole, a cui però vanno accostate la «fantasia di romanzo» e un’attenta sensibilità umana e sociologica. Quella che va restituita è la vicenda degli umili, dei vinti e degli esclusi dalla Storia. E se anche Bacchelli riporta la presenza onnisciente dell’autore al romanzo prima di Verga, lo pervade una tensione contemporanea, l’indifferibilità, in un’epoca così tragica e violenta, di interrogare il senso del tempo e della storia, questa continua ricerca di una verità d’altra natura, intima e universale insieme. Esaminerà le utopie, tra biasimo e seduzione (da quella anarchica, al libero amore, all’antischiavismo fino all’utopia sovietica), ma finirà per criticare la civiltà occidentale nella sua essenza e nutrirà sempre un debole per gli idealisti donchisciotteschi e gli eroi minori («E personaggi ed eventi storici adatti al romanzo sono per eccellenza quelli minori, eroi singolari o mezzi eroi o eroi di straforo, di un’ora o dell’illusione»).2 Lo affascineranno il rivoluzionario sconfitto Bakùnin o un esploratore italiano come Gaetano Casati che nella seconda metà dell’Ottocento sognò uno stato indipendente africano e una repubblica di indigeni («l’Africa rigenerata e riscattata coll’Africa»), e persino Cristoforo Colombo, di cui pensò di scrivere la vita,3 fino al misterioso figlio di Stalin. Ma anche una miriade di altri personaggi invisibili, ritratti nel loro contesto locale o rurale.
La sua ambizione è dunque quella di inserirsi nel solco dei classici e di comporre attraverso la propria opera un personale congedo da un’idea di civiltà scomparsa o sul punto di scomparire. Quest’obiettivo, Bacchelli lo perseguì con tutte le sue forze. Per Gianfranco Contini, la sua produzione, per vitalità, interessi e prolificità, fu la sola che si possa comparare a quella di Benedetto Croce: oltre ventitré romanzi, un gran numero di racconti e novelle, apologhi e fiabe satiriche, lunatiche, giocose, drammi e pièce teatrali, poesie, saggi e commenti letterari, prose morali, critiche musicali, articoli giornalistici, resoconti di viaggio, memorie e traduzioni (tra cui l’ o il ).
Nato a Bologna alla fine dell’Ottocento, nel 1891, Bacchelli cresce in una famiglia di tradizioni liberali: il padre è un avvocato di ottima reputazione – verrà eletto deputato al Parlamento dal 1909 al 1913; la madre, Anna Bumiller, una letterata di origine tedesca, che ama la musica, fu amica di Salvator Gotta e diede lezioni di tedesco anche a Carducci. La loro casa, in centro, è molto frequentata: vi si discute di letteratura, di politica, di opera; d’estate, in vacanza, ci si trasferisce a Forte dei Marmi. Riccardo è il primogenito di cinque fratelli. Sin dalla prima giovinezza, la sua vocazione letteraria si manifesta precoce e dirompente. Diplomatosi al liceo classico, si iscrive alla facoltà di Lettere di Bologna, ma non termina gli studi. Perde prima la madre, nel 1911, poi il padre, nel 1914. Il primo romanzo lo dà alle stampe a vent’anni, nel 1911, a fascicoli (). Seguiranno la collaborazione con «La Voce», i del 1914 (la cui metrica irregolare e sperimentale avrà qualche influenza sul Pavese di ), l’esperienza del fronte, sul Carso, e le , prose inviate a Cardarelli e pubblicate sulle riviste, ma che saranno raccolte in volume con questo titolo soltanto nel 1953.
Dopo la Grande Guerra, da Bologna si trasferisce a Firenze e poi a Roma e a Milano. Sono anni di apprendistato, tra saggistica e narrativa, e di grandi amicizie. Conosce Slataper, Campana, Cecchi, si lega a Vincenzo Cardarelli. È uno dei fondatori della «Ronda». Nel 1923 pubblica , «favola mondana e filosofica», gioco satirico di sottile allusione antifascista. Nel 1926 si sposa con Ada Fochessati, che rimarrà la sua compagna per tutta la vita. Nel 1927 ottiene un largo favore di pubblico con . Il libro rievoca, in tono tragicomico, le ultime avventure dell’anarchico Michail Bakùnin: l’utopia comunitaria della Baronata, vicino a Locarno, e la fallita insurrezione a Bologna del 1874, con Bakùnin in fuga travestito da prete.
Negli anni successivi, scrive molto e tutto il suo impegno si concentra sul romanzo. Escono, uno dopo l’altro, (1929, dove si racconta di una città del Texas in cui si pratica il libero amore, ma anche della rotta di Caporetto), (1930), (1932, sulla borghesia milanese del dopoguerra), (il primo suo romanzo a essere pubblicato a puntate su «La Nuova Antologia» nel 1934, e poi in volume l’anno successivo), (1935), (1937). Ma è tra il 1938 e il 1940 che completa il suo capolavoro, in tre volumi, . In questa lunga narrazione, anche le digressioni, spesso disseminate di luoghi comuni o di uno spontaneismo puerile e ipertrofico, trovano un equilibrio e una misura all’interno di un quadro più bilanciato e organico. È un impressionante affresco che, attraverso l’epopea di una famiglia, racconta il «secolo lungo» che va dal 1812 al 1918 dal punto di vista della microstoria locale e con una forte idea poetica a sostegno: quel sentimento di elegiaco affetto per i mulini fluviali del ferrarese e per tutta la vita che vi è trascorsa intorno che si trasforma in una specie di commiato per l’Italia e i valori dell’Ottocento di fronte al mutare del paesaggio, anche umano, e all’affermarsi delle nuove tecnologie, come quella dei mulini a vapore. Su tutto – epidemie e alluvioni, restaurazione e risorgimento, religiosità e miscredenza, tasse e scioperi – si allarga, come in una meravigliata, sospesa e malinconica incredulità, la nebbia del tempo che svanisce con una velocità maggiore di quella necessaria a rappresentarlo. E proprio con il silenzio e la nebbia che si spandono, all’alba, sopra la campagna e la riva del fiume, orgoglioso e finalmente «liberato e restituito alla natura», si chiude il romanzo, mentre scoppiano, sui colli e sulla piana, gli ultimi colpi della battaglia e uno dal ponte centra il capo dell’ultimo Lazzaro Scacerni. Finiscono così le gesta dei mugnai e del mulino del Po.
Parallelamente agli...




