E-Book, Italienisch, 176 Seiten
Reihe: Amazzoni
Artom Il Pesce del Tempo
1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-6243-533-8
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 176 Seiten
Reihe: Amazzoni
ISBN: 978-88-6243-533-8
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Nata a Gerusalemme nel 1979, ha vissuto fra l'Italia e Israele per vari anni. Ha studiato letteratura inglese all'Università Ebraica di Gerusalemme conseguendo un master, ha insegnato scrittura accademica, fatto la lettrice per una casa editrice e lavorato presso una ONG che opera nel campo dell'educazione e della convivenza pacifica. Attualmente vive a Genova e insegna letteratura inglese presso una scuola internazionale.
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CAPITOLO I
Con un sospiro, Adàutto aprì la busta nell’ufficio pieno di sole. I lucidi peli pubici risaltavano sul bianco opaco. Appoggiò la busta sulla scrivania. Si alzò, sospirando di nuovo, e andò verso lo sgabuzzino. Con lo sguardo cercò fra le altre scatole quella dei peli, e la estrasse con cautela. Un giorno la pila sarebbe caduta, e i contributi organici si sarebbero mischiati. Aveva già detto al signor O. che le scatole avrebbero dovuto essere sigillate, almeno quelle delle unghie e dei peli, ma al signor O. i dettagli non interessavano.
Per fortuna non era una “mista”. Avevano più volte chiesto ai donatori di non inviare materiale organico misto, ma alcuni lo mandavano comunque, accompagnato da una fotografia e da una lettera che descriveva una nuova opera di Ulrich: un loro ritratto organico. Adàutto si chiedeva come tanta gente potesse avere la stessa rivoltante idea. Prese il registro, annotò con cura il nome del mittente, la provenienza, la data del timbro postale.
Sfogliando le pagine, Adàutto si felicitò di non aver seguito il suo primo istinto. A volte, per consolarsi, pensava a tutte le categorie che avrebbero potuto esserci e non c’erano.
Unghie: lunghezza, colore di eventuale smalto.
Capelli: lunghezza, colore.
Denti: molari, canini, incisivi, del giudizio, da latte.
Calcoli: dimensione e forma.
Rimise il registro nel cassetto. Era colpa del signor O., ma soprattutto sua. Nessun contabile serio avrebbe accettato quel posto. Adàutto rimpianse di non aver seguito il suo primo istinto. Appena sentito che il lavoro era in una galleria d’arte, contemporanea per di più, aveva pensato che fosse un’assurdità. Che la contabilità e l’arte non stavano insieme.
“Ma è proprio qui” gli aveva detto il signor O. “che lei si sbaglia. Vede, non sembra, ma io dirigo una fabbrica. Non lo dico ai miei vari Rothko e Mondrian e Bacon, perché ognuno di loro si deve sentire speciale, importante. Producono cose che andranno, vanno, andavano di moda. Producono con diversi ritmi e modalità. E questo va controllato. Un artista non dovrebbe mai distaccarsi dal suo profilo stilistico iniziale. I compratori devono poter riconoscere l’articolo, gli amici che vanno a casa loro devono poterlo riconoscere. Poi c’è la questione dell’andamento. Non li si può lasciar cadere in pause lunghe che li rendano irrilevanti nel mercato dell’arte contemporanea, ma non ci può neanche essere un surplus di merce per non abbassare il prezzo. E in tutto questo, ognuno di loro si deve sentire speciale. Non bisogna generare squilibri. Chi non vende deve pensare che lo stimiamo più di quelli che vendono, che lo apprezziamo per un estro che la massa non sa capire. Chi vende va lodato, ma senza dargli l’impressione di essere unico.”
E alla fine l’aveva convinto che, come in ogni fabbrica, si trattava di controllare numeri e flussi, di minimizzare l’incognita dell’originalità individuale, che c’era bisogno dell’occhio vigile di uomini pragmatici. Uomini come lui. Perché, gli aveva detto il signor O., Adàutto gli sembrava un uomo solido. Un uomo su cui poter fare affidamento.
Si era lasciato prendere dal panico della disoccupazione, anche. Ma soprattutto dalla magnifica presenza del signor O. Vergognandosi, si disse che il signor O. era meglio di qualsiasi uomo avesse mai conosciuto. Adàutto si sentiva sollevato dal fatto che il signor O. fosse un capo vero, assoluto, che si aspettava completa obbedienza. Gli aveva detto che quel lavoro sarebbe stato un misto di contabilità e altro. Adàutto non aveva chiesto, O. non aveva spiegato. Il signor O. lo mandava a pagare gli artisti, poi lo convocava e gli faceva svariate domande. Alla fine, aveva capito. Il signor O. aveva bisogno di una spia, di un intermediario, di un’eco indebolita della sua forte presenza. Una persona che ne suggerisse l’autorevolezza, ma incutesse meno timore e non mettesse in soggezione l’insopportabile, indispensabile ego degli artisti. Adàutto era il sigillo di ceralacca sulla busta – riconoscibile, ma molle e malleabile.
All’inizio la cosa era informale, ma già dopo poco stilava rapporti su progressi, umore, atteggiamento generale, ritmi di produzione. Rapporti che il signor O. pretendeva ma non leggeva, e che Adàutto era costretto a ripetere a voce, come se il lavoro non fosse abbastanza tedioso. Quella era stata la prima incrinatura nel loro rapporto. E ora c’era la faccenda dei contributi organici e delle scatole. Forse era anche colpa sua. Perché aveva fatto esattamente ciò che il signor O. gli aveva detto di non fare. Aveva accarezzato l’enorme ego di un artista, Gustav Ulrich. Aveva dato briglia sciolta all’originalità individuale. Ma non aveva potuto farci niente. Il Pesce del Tempo lo aveva stregato. Lo vedeva di continuo, nel buio di ogni battito di palpebra, nel silenzio fra un respiro e l’altro.
Per poter avere il Pesce del Tempo aveva ceduto alle richieste di Ulrich e si era inventato quella trovata pubblicitaria. “Un’opera olistica. Un’opera organica. Un nuovo corpo collettivo, fatto di vita e morte.”
Tolti tutti gli “olistici” e gli “organici”, la faccenda era semplice nella sua squallida sporcizia. Per promuovere Ulrich e il Pesce del Tempo, si chiedeva ai visitatori di inviare peli, unghie, capelli, denti, per una futura opera dell’artista, che chissà se avrebbe mai creato. E intanto toccava a Adàutto raccogliere e catalogare tutti quei “contributi”.
Ma il colloquio che lo attendeva due giorni dopo avrebbe potuto cambiare tutto. Se avesse deciso di andare.
La spiacevole voce della segretaria del signor O. invase la stanza attraverso l’interfono.
– Il signor O. desidera vederla. Al più presto.
Si sistemò la camicia, lisciò la cravatta, e fece un profondo respiro. Mentre si dirigeva verso l’ufficio del signor O., Adàutto pensò al sole, che era rimasto dov’era, a illuminare la stanza vuota.
Passò davanti alle tre catalogatrici senza salutarle. Non le aveva mai salutate.
– Buongiorno, Adàutto.
A Adàutto piaceva quando il signor O. lo chiamava per nome.
– Buongiorno, signor O.
– Adàutto, sono preoccupato dalla situazione del signor Ulrich e del Pesce del Tempo. Ha controllato la nuova collocazione?
– Certo, signor O. Mi sembra ben sistemato.
– Non avevo dubbi, lei è uomo meticoloso.
Adàutto sorrise a labbra serrate.
– E il signor Ulrich? Confido che si sia rimesso a lavorare.
Adàutto si guardò le mani.
– No? Ancora no?
– No, signor O.
– E perché?
– Non trova la sintesi.
– La sintesi, Adàutto?
Il tono del signor O. era ironico, come se quella sciocchezza l’avesse detta lui.
– La sintesi fra la moltitudine delle sue idee, signor O.
Il signor O. sospirò scuotendo la testa e sorridendo.
– Be’, Adàutto, non si crucci, non è colpa sua. Certo, lei ci ha messo in questa situazione strana e proficua. Proficua, ma strana. Potenzialmente rovinosa. Ma non è colpa sua. Non si crucci, Adàutto. Gli artisti sono molto simili fra loro. Solo, alcuni sono più difficili. Il signor Ulrich va incoraggiato e sollecitato. Gli faccia una visita oggi o domani.
Adàutto non disse che aveva fatto visita a Ulrich poco più di una settimana prima perché il signor O. non amava le obiezioni senza scopo, ma lo irritava che il signor O. credesse che aveva trascurato il suo lavoro. Non era vero. Ulrich e il Pesce del Tempo erano diventati quasi la sua unica occupazione. Di certo erano un pensiero fisso, vista la sua responsabilità nella faccenda. L’incarico con il signor Ulrich andava ben oltre i controlli di routine.
Il signor O. aveva chiuso la conversazione, e stava esaminando un catalogo.
– Signor O.?
Il signor O. alzò la testa e sorrise. Adàutto sentì un piccolo tepore.
– Adàutto, ha qualche domanda?
– C’è la faccenda dei contributi organici, signor O. Le scatole stanno aumentando, credo che finiranno per rovesciarsi se non si troveranno contenitori più adatti.
Il signor O. smise di sorridere.
– Adàutto! Non mi secchi più con i suoi peli! Mi ha capito? Ho accettato l’idiozia dei peli solo per lei e quell’Ulrich. E la smetta di chiamarli contributi organici. Non mi interessa dove tiene le sue schifezze, ma non voglio più essere seccato. Ha altro da dirmi prima di tornare nel suo ufficio?
Il signor O. lo guardava. Il ritratto del signor O. lo guardava. Se si era ridotto a questo era solo per dedizione verso il signor O. Adàutto sentì la gola stringersi per la rabbia.
– Sì, ci sarebbe un’altra cosa. Avrei bisogno di una giornata libera mercoledì.
– Una giornata libera? Mercoledì?
– Sì, signor O.
– Tutto mercoledì?
Gli occhi e le labbra del signor O. si incresparono. La sua improvvisa calma inquietò Adàutto. Forse pensava che fosse gravemente malato. Peggio, forse percepiva il tradimento.
– L’intera giornata, Adàutto?
– Mezza. Credo che mezza giornata basterà.
Il signor O. sorrise.
– Prenda anche tutta la giornata, Adàutto. Si prenda tutto mercoledì. Lei lavora duro. Si merita una giornata intera. Chiuda la porta uscendo.
Adàutto chiuse la porta, stordito da quel commiato improvviso. Si ritrovò nel corridoio con quelle tre donne indistinguibili nell’oscurità, che nessuno aveva mai sentito parlare. Venne accolto dal ticchettio di macchina da scrivere diffuso da un altoparlante, “un’idea dell’arredatore d’interni,” aveva detto il signor O. “adatta a una galleria d’arte contemporanea”. Finto, in altre parole. Come il resto.
Lo...




