Argüello | A proposito di Majorana | E-Book | sack.de
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E-Book, Italienisch, 336 Seiten

Reihe: Intrecci

Argüello A proposito di Majorana


1. Auflage 2017
ISBN: 978-88-6243-328-0
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 336 Seiten

Reihe: Intrecci

ISBN: 978-88-6243-328-0
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Nel marzo 1938 il fisico Ettore Majorana sparisce in circostanze misteriose da un traghetto che lo sta portando da Palermo a Napoli. Quasi ottant'anni dopo l'argentino Ernesto Aguiar, annoiato redattore di necrologi alla vigilia delle nozze, viene inviato nel capoluogo campano per realizzare un servizio sullo strano caso del celebre scienziato. Il viaggio verso l'Italia a bordo di una barca a vela in compagnia di un vecchio compagno di scuola prende però subito una piega inattesa... Un romanzo avvincente in cui i princìpi della fisica quantistica si mescolano a un'appassionante indagine poliziesca, e l'enigma mai risolto della scomparsa di Ettore Majorana diventa il pretesto per indagare la natura aleatoria della realtà e il desiderio che accomuna tutti di riscrivere il proprio destino.

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I


– E cosa avete detto che venivate a fare a Napoli?

– Un’inchiesta. Sono un giornalista e dovevo realizzare un’inchiesta.

– E il vostro amico?

– Lui mi accompagnava e basta.

– Vi accompagnava e basta.

– Sì, poi avrebbe proseguito il suo viaggio.

– Per dove?

– Non lo so.

– Non lo sapete.

– No. Credo che non lo sapesse nemmeno lui. Parlava di Istanbul. Aveva detto qualcosa riguardo al canale di Suez, ma non ricordo bene.

– Ma niente sul fatto di sparire.

– Niente sul fatto di sparire.

– E niente che facesse pensare che erano quelle le sue intenzioni.

– Niente.

L’uomo mi guardò come se gli avessi appena detto una bugia e lui lo sapesse e sapesse anche che io lo sapevo, mi guardò con aria un po’ paternalistica, come un preside in attesa che l’alunno confessi la marachella, né troppo grave né troppo premeditata, che ha appena commesso. Spostò gli occhi verso alcuni documenti sulla scrivania, poi tornò a concentrarsi su di me.

– E voi che inchiesta dovevate fare qui a Napoli?

Sembrerà assurdo, ma fino ad allora non mi ero reso conto dell’evidente rapporto che legava le due cose, la scomparsa di Ross il Biondo e quella su cui dovevo raccogliere notizie. Non mi ero nemmeno reso conto – e lo avrei scoperto solo molto tempo dopo, quando finalmente sarei riuscito a mettere insieme i pezzi del puzzle – di come le linee dello spazio e del tempo si fossero alleate per congiungere, a oltre ottant’anni di distanza, le circostanze nelle quali mi trovavo io con gli avvenimenti di quella notte di marzo, quando tutto in qualche modo era iniziato.

– Sono venuto a indagare su una scomparsa.

Pronunciai la frase con tono sibillino. Il fatto è che ero un po’ stufo di stare lì seduto a rispondere a quella gragnola di domande. Avevo fame, sonno, e nonostante mi avessero dato vestiti asciutti e una coperta per riscaldarmi non mi ero ancora tolto l’umidità e il freddo dalle ossa. Tutto questo, sommato all’irritante diffidenza con cui l’uomo mi interrogava, sfociò all’improvviso nell’impulso infantile di fare il misterioso, di cercare di stupirlo, di tirarlo fuori dalla sua comoda posizione per vedergli sul viso, anche solo per un istante, un’espressione sbigottita. Lui si limitò a sorridere.

– Una scomparsa – ripeté.

– Una scomparsa – confermai.

– Che non ha niente a che vedere con quella del vostro amico.

– Che non ha niente a che vedere con quella del mio amico.

– E si può sapere di chi si tratta stavolta?

Mi presi il tempo di rispondere. Per quanto avesse fatto finta di niente, quell’informazione aveva innegabilmente suscitato una certa curiosità nel mio interlocutore, una vaga inquietudine che per un momento riequilibrò il rapporto di forze. Distolsi lo sguardo e lo lasciai vagare verso la finestra, oltre lo schedario verde di metallo accanto alla scrivania e la mappa del golfo di Napoli ricoperta di centinaia di post-it annotati nervosamente; oltre la fredda luce dei neon sul soffitto e l’aria viziata frammista all’odore di fumo e a quello acre di muffa della moquette vecchia e sporca; lasciai vagare lo sguardo fin dove l’oscurità si univa al sordo ronzio delle strade addormentate, e più in là, verso il rumore misterioso di quel mare che per poco non mi inghiottiva. O dovrei dire, non ci inghiottiva?

– Si tratta di un fisico, – dissi – un fisico siciliano. Una delle menti più illustri mai partorite dalla sua patria, scomparso in circostanze misteriose il 25 marzo 1938. Si chiamava Ettore Majorana.

Quello che rispondeva alle domande ero io. Quello che le faceva era il commissario Salvatore Esposito della polizia di Sorrento, e vorrei tanto poter dire che quanto racconto qui è un mero aneddoto poliziesco, con sospetti e scomparsi, e indizi che presto o tardi portano a una soluzione più o meno soddisfacente, ma la realtà è decisamente più complicata. Mettere in ordine i dati di una storia vuol dire per forza di cose falsarli, trovare significati lì dove non ce ne sono, inventare rapporti per legare cause ed effetti. Gli eventi in sé non hanno direzioni o conseguenze, gli eventi non sono mai collegati tra loro, tranne che nella mente di chi li analizza. Gli eventi in sé sono crudelmente neutri, assoluti. Non possiedono una carica positiva o negativa, o forse sarebbe più corretto dire che per ogni evento con carica positiva se ne verifica un altro di segno contrario ma identico, che si sostituisce al primo annullandolo. Io questo però non lo sapevo ancora. A dire il vero, e limitandoci a quanto accaduto fino a quel momento, non si potrebbe nemmeno dire che qualcuno fosse davvero sparito, così come non era del tutto esatto che io fossi arrivato fin lì con l’intenzione di indagare su qualcosa. Ero arrivato lì, come la maggior parte delle persone che arrivano in un posto, non tanto per quello che mi attendeva, quanto per quello che avevo voluto lasciarmi alle spalle. E neanche questo è vero, perché non era quello il motivo della mia partenza. Potrei parlare della mia repulsione per la vita grigia e monotona, o della comparsa provvidenziale di Ross il Biondo, quel giorno al molo, per dare un senso al ridicolo incarico che mi aveva affibbiato il mio caposervizio. Potrei parlare forse della velata competizione che, sebbene non volessi riconoscerlo, sentivo ancora nei confronti di quell’imbecille di Galíndez, verso il quale si concentrava la maggior parte del disprezzo che nutrivo per la specie umana. Potrei parlare di molte cose di cui non conosco il nome e non avevo allora alcuna cognizione, cose che di solito la gente chiama con termini magniloquenti e che in fondo corrispondono solo alla forma che i fatti devono prendere. Potrei parlare di te e dei nostri improbabili progetti di matrimonio, eppure nulla di tutto ciò riuscirebbe a spiegare qualcosa perché, anche se allora non lo sapevo, in questo mondo non c’è proprio niente da spiegare, a meno che non si abbia il coraggio di voler spiegare il tutto, cosa che solo in pochi hanno osato fare, uomini con una convinzione e una fede che non mi appartengono, uomini capaci di dedicare la vita a una causa anonima, uomini che non ricevono alcuna ricompensa per il loro impegno, uomini con un destino che non si misura con quello degli altri uomini bensì con quello del Dio del cielo, il che ci riporta alla persona della quale mi avevano incaricato di seguire le tracce, perché per quanto assurdo e vago possa sembrare, il fatto è che a quel punto, se avessi dovuto azzardare una risposta sui motivi che mi avevano condotto nel golfo di Napoli, sarebbe stato inevitabile citare il nome di Majorana.

Barcellona, qualche giorno prima


A proposito di Majorana, mi disse il caposervizio del giornale in cui lavoravo come se l’idea gli fosse venuta all’improvviso, come se non fosse stato proprio lui, un attimo prima, a tirare fuori l’argomento con assoluta premeditazione per poi iniziare a parlare di quello che gli interessava davvero. A proposito di Majorana, disse con le braccia conserte e abbassando lo sguardo sulla tomaia di una delle sue scarpe, con aria apparentemente distratta, come se stesse seguendo il filo dei miei pensieri e mi invitasse a esternarli. A proposito di Majorana, disse scandendo le parole, credo che sarebbe interessante andare a vedere sul posto se si trova qualcosa. Andare a vedere sul posto se si trova qualcosa? Ma non stavamo parlando di un tizio scomparso più di ottant’anni prima che aveva trascorso a Napoli solo gli ultimi tre mesi di vita? E poi, perché lo diceva a me? Voleva davvero che me ne occupassi io? Le sue parole non mi convincevano. Il mio caposervizio sapeva benissimo che, dopo anni passati a stilare necrologi, un incarico del genere per me rappresentava un’opportunità, allora perché me lo diceva come se stesse per farmi una carognata? Doveva esserci sotto dell’altro, qualcosa che non riuscivo a cogliere, ma per scoprirlo avevo bisogno di tempo. Con lo stesso tono disinvolto e indifferente che lui aveva usato con me gli risposi di sì, era una buona idea, e continuai a cercare nell’archivio qualche informazione sulla vedova del farmacista del quale mi toccava scrivere il necrologio.

Per trovare il pezzo mancante non dovetti aspettare molto. Di solito era così che andava quando c’era di mezzo Galíndez. Penso che accada in tutti i lavori, ma in un giornale la faccenda degli intrighi è ancora più marcata proprio per deformazione professionale. In un giornale si creano storie dal nulla, si trasformano voci in indizi e indizi in fatti accertati. In un giornale, come in nessun altro luogo, si impiega il tempo a reperire i dati e a riferire i particolari che si riescono a scoprire sulla vita degli altri. Galíndez ne era l’esempio più eloquente. Tutti si prendevano la briga di parlare delle sue prossime mosse, alla stregua del bollettino meteorologico che gli alpinisti aspettano prima di iniziare una scalata. O forse ne parlavano solo con me per la rivalità che mi opponeva a Galíndez e godevano di nascosto delle mie pubbliche umiliazioni. Infatti venne fuori che la mia inchiesta, quella che il caposervizio mi aveva affidato sul fisico scomparso, era solo un’appendice di quella più importante di cui Galíndez sarebbe stato il protagonista. Protagonista è la parola giusta. Galíndez non apparteneva alla categoria dei giornalisti che fanno da tramite fra la notizia e il pubblico. Galíndez fagocitava l’informazione, la masticava con cura e la trasformava nel bolo che il suo ego inghiottiva e poi vomitava in una palla di pelo e sangue, in un impasto che diceva molto di lui e poco...



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