E-Book, Italienisch, 113 Seiten
Jarro Firenze sotterranea
1. Auflage 2024
ISBN: 979-12-5593-077-8
Verlag: Paperleaves
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
appunti, ricordi, descrizioni, bozzetti
E-Book, Italienisch, 113 Seiten
ISBN: 979-12-5593-077-8
Verlag: Paperleaves
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Giulio Piccini, in arte Jarro, scrittore e giornalista, nel libro Firenze sotterranea (pubblicato per la prima volta nel 1881) denuncia le misere condizioni della zona del Mercato Vecchio di Firenze. Dallo scalpore che ne seguì vennero i provvedimenti di demolizione attuati dal 1885 al 1895. La questione che io ora voglio trattare, se da un lato è questione di morale, di giustizia, di umanità, ? dall'altro questione di miseria, di delitti, di un'abiezione, che cresce e si propaga per modi misteriosi, di un male che serpeggia tra noi, senza che ne siamo accorti, di un grande pericolo, che ci minaccia... Firenze suol esser chiamata bella, gentile, città dei sorrisi e de' fiori; ma nessuno penserebbe che qui sono così putride cloache nelle quali si ammassano esseri umani; fiori che spuntano soltanto da immondezzai, e che avvelenano. Abbiamo luoghi remoti, sordidi, scuri dove la pianta uomo nasce, sviluppa, vigoreggia attossicata, senza sole, e in aria infetta... abbiamo quasi una piccola città entro la grande città ove le anime si perdono, spente della luce morale: luce di fede, di rettitudine, d'amore. Chi crederebbe che entro Firenze, la città molle, vezzosa, che ha per tutto levato grido di miti e dolci costumi, è una Firenze dove stanno in combutta il sicario e il ladro, l'assassino negl'intervalli in cui esce dalle galere, e il lenone, il maruffino abietto e atroce? Siete voi andato mai in quegli antri, in quelle tane, per que' sotterranei, dove la notte le pareti formicolano d'insetti, dove il soffitto è così basso, che è impossibile a uomo di giusta statura entrare li senza curvarsi, e dove su putridi giacigli si scambiano gli amplessi di ladri e di baldracche, lordure umane, sgorgate in quegli orrendi sterquilini, dopo aver corso, trabalzate, per tutte le fogne del vizio?
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A SUA ECCELLENZA
IL PRINCIPE DON TOMMASO CORSINI
SENATORE DEL REGNO E SINDACO DI FIRENZE
ECCELLENZA,
La prima edizione di questo libro io indirizzava al comm. Ubaldino Peruzzi, che, già Sindaco di Firenze, ordinando un’inchiesta su orribili mali, su certe piaghe segrete della nostra popolazione, dava vista d’aver compreso quanto fosse urgente il porvi rimedio. E il ricordare ciò che Egli avea desiderato, sebbene i tempi non gli desser modo di compierlo, mi parve debito di gratitudine, e atto di giustizia.1
Ma la lieta accoglienza del pubblico alle pagine, da me scritte, se non con industria pari alla convinzione, al mio ardore per la verità, con grande schiettezza d’intendimenti, mi ha procurato la ventura di far del mio libro una seconda edizione: e ho colto il destro per indirizzarla a Vostra Eccellenza, verso la quale tutti noi, che amiamo Firenze, teniamo rivolti gli sguardi, trepidando in un sentimento di viva speranza.
L’on. Ubaldino Peruzzi avea posto la mente a liberarci da una grave jattura: Vostra Eccellenza è oggi, nell’opinione di tutti, il più autorevole, il più simpatico continuatore di quel concetto salutare. Da Voi Firenze aspetta sia messo in opera, secondo si addice alla vostra prudenza e alla vostra pietà.
Nella memore coscienza del popolo è scritta la storia della Vostra illustre famiglia: storia di alta gentilezza d’animo, di insigni opere buone, storia che risguarda l’arte, la carità, la patria. Qual nuovo merito spetta all’Eccellenza Vostra, or chiamata ad accingersi a un’opera, che conferirà a Firenze nuova attrattiva è la guarirà de’ mali onde più soffre?
Come accade (ed è fortuna de’ libri e degli scrittori; ne sono invidiabili quelli che ne vanno immuni) molti ebber talento di giudicare del mio lavoro, e ne nacquero dispute: mi toccarono favoreggiatori caldissimi e accusatori, che direi maligni soltanto perché mal sapevano quello su cui sentenziavano a loro posta, e col pieno diritto, che ha ogni lettore. Nè chi va tra la gente può sempre aspettarsi bene: ci è il detto di Tacito: Nihil in vulgo modicus!
Mi si apponeva, Eccellenza, di aver esagerato: di aver caricato le tinte (con quale scopo?...) di essermi lasciato pigliare dalla vecchia mania, che io ho (dicono) di voler mettere attorno al sostantivo, perché faccia miglior figura, schiere di aggettivi, uno più forte e più vistoso dell’altro, rumorosi, come ragazzi che sguscin fuor dalla scuola, o che scoppiettino a mo’ di piccoli razzi.
E pure io ho detto il vero e, Vostra Eccellenza mi creda, con forma assai mite in proporzione del vero. La Firenze sotterranea da me disvelata ha recato un certo stupore, e ha levato un certo rumore: ed io me lo aspettava: non si palesano impunemente verità spiacenti, nè si combattono pregiudizii.
Mi hanno dato perfino la taccia di screditare la città, come se il medico, che studia il malato, e dice a’ suoi più cari il nome della vituperosa malattia che lo contamina, disonorasse la famiglia!
Il vento si porta le ciancie e le verità restano: e questo è il conforto di chi cerca e di chi scrive la verità.
Una cosa mi sta a cuore di raffermare a Vostra Eccellenza; che nulla io ho detto, se prima non l’avessi osservato: che nel mio libro abbondano sì i fatti, che hanno aspetto d’incredibili, ma sono fatti, nè si posson acconciare o foggiare altrimenti per dar nel genio a chi li vorrebbe diversi.
Sarebbe errore, Eccellenza, che coloro i quali sono in autorità trascurassero certi interessi: ci è una gente, che vorrà prendersi, e già tende a voler prendere, quello che era previdenza l’averle accordato. Ci è una gente, lo ripeto con la mia sincerità a Vostra Eccellenza, la cui miseria, il cui abbandono è un pericolo per tutti.
Se guardiamo la triste condizione, le malissime pratiche, la degradazione, lo stato insalubre nel quale vivono le persone, che io descrivo, non è da meravigliare pel male che fanno, bensì che il male non sia maggiore.
Ci è una classe, che quasi non sa fin ora di aver amici nelle classi più intelligenti e più fortunate; a cui è da apprendere la vita famigliare e la vita sociale: e bisogna vincere anche questi sventurati, tirarli a noi: e il giorno che vi riusciremo, avremo tanto guadagnato!
Il danno non è immaginario, è più vero e più grande che non possiamo oggi figurarcelo. Dacché fu pubblicato il mio libro, se ne ebber le prove. Vostra Eccellenza sa come, giorni or sono, da’ tugurii, che io tentai pennelleggiare alla brava in queste pagine, sbucassero uomini e donne, e se n’andassero scorazzando per le campagne con intento di accozzarsi in bande di malfattori. Il vero è triste e nudo, nè comporta fronzoli, o azzimature.
Vostra Eccellenza non potrà negare l’influenza morale, che ha la casa, la dimora, sulle persone che vi stanno. In covigli immondi, dove nessuno terrebbe animali di prezzo, o a cui fosse tanto o quanto affezionato, si possono tenere centinaia di creature umane? Non bisogna impedire le agglomerazioni, le connivenze demoralizzanti? Può il magistrato cittadino tollerare, se non quasi incoraggiare, che si addensi, si moltiplichi in ripari sucidi, insalubri, infami, gente, che deve vivere ignota a’ due sentimenti, i quali sono cardine del consorzio umano: la dignità e il pudore?
Costoro hanno un Codice di decenza lor proprio, con molto divario dal nostro. Significavo a una donna l’orrore che m’inspirava il vederla giacere nel medesimo letto con altre persone: il marito, i figli, le spose dei figliuoli, i mariti delle figliuole. — Lei dev’essere un uomo cattivo! mi rispose — Non siamo di una stessa famiglia? e non si dovrebbe dormire insieme?
Capisco che il Regolamento municipale non potrà garantire a tutti una moglie come Penelope, e non si potranno mandare le guardie municipali a intimare trasgressioni a chi non ha il viso pulito: ma molto è da fare per la morale, per la decenza, per la pulizia di Firenze ne’ due più malfamati quartieri.
Non si comprende, Eccellenza, in che modo a’ proprietarii di certe case sia stato consentito il poter lasciarle arrivare in tale scadimento: non si comprende come entro le mura di Firenze siasi tollerato l’immane sconcio di tuguri, ridotti a sì lurido stato, scompannati, infetti a segno che neppur si veggono gli eguali ne’ più scuri e poveri villaggi.
Simili tugurii non vi sarebbero, Eccellenza, (domando perdono, se oso parlare con assai sincerità) se le leggi municipali fossero state fatte rispettare. Non è in alcun modo colpa vostra: ma Voi otterrete unico il merito di avervi rimediato: e avrete il plauso, la riconoscenza perenne dei cittadini.
Ci sono proprietari, che pagano tasse e non appigionano; lasciano in certe strade, che io descrivo, le casupole spigionate anzi che farvi entrare i bricconi, annidatisi di preferenza, e non senza ragione, per que’ quartieri, e che alle case ove dimorano, comincian col portar via le porte, le vetrate delle finestre per venderle ne’ giorni in cui più li stringe la fame... E di tali casupole, così smantellate, se ne veggono più d’una.
Altri proprietari neppur pagano tasse, nè si fanno più vedere.
Ho udito non pochi ragionare così: il Municipio proibisce la vendita di cibi e di bevande insalubri, perché comporta che certi proprietari tengano in strade, privilegiate per immondezza, edificii mezzo rovinati, nidi di putredine e d’infezione, nocivi alla salute di chi vi sta, tanto che gl’inquilini son quasi tutti malati degli occhi, o di altre malattie, esiziali alla stessa pubblica salute?
Le derrate guaste — è però da rispondere — si spacciano a minor prezzo, e allettano certi compratori: di cose ripulite, migliorate crescerà il prezzo: e la gente, che ora le abita, resterà senza tetto.
E pure così non può continuare: e Vostra Eccellenza sa che i tuguri sì immondi, il modo con cui vi si vive, le tristi cose, che vi si preparano, non solo riescono di danno agli stranissimi inquilini, ma arrecano discredito a noi tutti.
La società in tali casi deve mostrarsi conscia del suo potere. I nostri padri non furono spensierati come noi. Io parlo nel libro del Ricovero per la notte, aperto sotto il granducato, ai pregiudicati, destituiti d’ogni mezzo, dopo aver scontato le pene, in Via S. Gallo. Un altro Ricovero era stato aperto in San Frediano. Perché fu chiuso? Non so. Ma so che il Gonfaloniere Dufour-Berte ebbe in concetto di ravvivare l’istituzione: e alcuni proprietari gli volevano cedere le case gratuitamente.
Il vocabolo case è però disadatto; si tratta di tali spelonche donde l’inquilino deriva i germi di malattie: dove malato non può rimanere (e il medico ne ordinerebbe il trasporto all’ospedale, se già nol prescrivesse la più orrenda miseria) dove se pochi, per caso repentino, vengono a morire, gli stessi sacerdoti di una religione che non abbandona le anime umane, neppure ne’ più estremi gradi d’ abiezione, osano appena entrare, tanta è la sozzura, che vi sanno accumulata, e accostatisi un momento a benedire il morente e compiere i riti estremi, escono nella strada a recitare le preci!... Soltanto la carità pubblica e la carità privata possono risolvere il problema; e sin ora la carità privata è voce abbia trovato ostacoli donde dovean venirle incoraggiamenti!
È d’uopo costruire le case pei poveri: tal questione è discussa da me più oltre, e costruite, nominare commissioni di cittadini, — come si fa altrove — vigilanti perché non sien rinnovati gli abusi. Molti orrori hanno per causa prima la immondezza e la disposizione degli abituri, di cui son costretti a appagarsi certi sventurati.
E, sopra tutto, Eccellenza a Voi, padre e...




